I

 

Rumori lontani nel bosco,

fruscio di foglie a terra

e rami calpestati.

Intorno nebbia, mentre tenace

il sole non si arrende.

Noi spaesati a cercarci,

ruvide labbra, parole stente.

Il canto di un fagiano

ci sorprende, stride,

nel quasi giorno dell’addio.

Non ti conosco più,

in questa guerra che ci divide,

nostro presente

senza pace, senza domani.

 

 

II

 

Mi tremano le mani

se penso alle stentate primavere

passate; finiti i soldi,

anche l’amore faticava.

Ma non ti rassegnavi:

“domani sarà meglio, domani

andremo fuori

a comprare scarpe libri vestiti;

tutta nuova ti voglio vedere,

regalarti dei fiori”.

Attrice comprensiva

rispondevo facendoti coraggio:

maggio giugno l’estate

indolente che arriva.

Passa un giorno, poi un anno.

Non cambiava mai niente.

 

 

III

 

Allontanarci e ritrovarci,

questo mi proponevi,

prudente e saggio

con paura di sprecarti

in troppo dare. Non mi prendevi

nemmeno per mano, vergognoso

degli sguardi della gente:

mentre io avrei voluto sollevarti

aldilà di colline, di boschi

e confini: spaziare immensi

azzurri, col coraggio

dei folli e dei bambini.

 

 

IV

 

Consolante il ricordo di noi

mi si affaccia,

se nello specchio ritrovo

il profilo imparato a memoria,

sul letto la traccia

del corpo abbracciato,

dal soffitto oscillante un filo

di ragno

avvolge nel velo la storia

che è stata la nostra.

Nostra stanza,

mio tempio ora zitto:

mio cielo mio scoglio

e deserto.

Non voglio non volo,

ancora non provo.

 

 

V

 

Mi alzo mi vesto esco.

Vago come un automa,

impietrita in qualsiasi

parola, o gesto.

Poi improvvisa una voce,

poi tante, musica forte da un posto

che ignoro (balera

caffè ristorante): mi chiamano

dentro, scombinata compagnia,

“sei sola?”.

Rido tra loro, angeli sconosciuti,

canto, bevo. E via dal coma,

dannata tristezza;

salvezza decisa in una sera.

 

 

Il Pickwick, 13 settembre 2020; Gli Stati Generali, 5 marzo 2023

In Rime e varianti per i miei musicanti, Marco Saya Edizioni, Milano 2020