SERENELLA IOVINO, ECOLOGIA LETTERARIA.UNA STRATEGIA DI SOPRAVVVIVENZA – EDIZIONI AMBIENTE, MILANO 2015

L’ecocriticism è una branca di studi letterari molto sviluppata negli USA già dagli anni ’90. Piuttosto sottovalutato da noi, ha iniziato a interessare le istituzioni accademiche ed editoriali grazie al lavoro della Professoressa Serenella Iovino, una delle voci più accreditate dell’ecocritica internazionale: insegna “Italian studies and Environmental Humanities” alla University of North Carolina, e tra le sue numerose pubblicazioni sull’argomento, il volume Ecologia letteraria, Una strategia di sopravvivenza, pubblicato nel 2015, ha riscosso notevole successo non solo tra gli intellettuali addetti ai lavori, ma anche tra gli studenti più giovani, particolarmente sensibili alle problematiche ambientali.

Iovino ha intercettato questa empatica ricettività delle nuove generazioni nei riguardi dell’habitat naturale non specificamente umano (animali, oceani, foreste) proponendo un filone di ricerca inconsueto e stimolante: “Il risultato che speravo di ottenere era questo: presentare la cultura letteraria ambientale nella sua dimensione insieme locale e globale, facendone emergere la natura fecondamente comparatistica”. Un uso etico dei testi letterari, antichi e moderni, può contribuire a orientare i rapporti umani con il mondo non umano, in una sorta di pedagogia sociale che stimoli a riconsiderare il posto occupato dall’homo sapiens sapiens in un mondo minacciato dalla catastrofe. Non solo principi teorici, quindi, ma anche un impegno politico, un attivismo culturale da incoraggiare attraverso la lettura critica di testi che in varia misura si siano occupati dell’ambiente.

Il volume di Serenella Iovino si divide in due parti: la prima sezione inquadra l’orizzonte storico e teorico in cui si è inserita la cultura ecologica, privilegiando il pensiero filosofico post-moderno, la letteratura decentralizzata, non gerarchica, inclusiva; la seconda parte analizza criticamente quattro autori novecenteschi che hanno prestato particolare considerazione alle differenze di genere, di specie, di lingua, di evoluzione biologica: Annamaria Ortese, Clarice Lispector, Pier Paolo Pasolini, Jean Giono.

I capitoli iniziali del volume sottolineano le modalità negative con cui la modernità ha deturpato il paesaggio, inquinando non solo materialmente ma anche ideologicamente l’integrità e l’autenticità dell’habitat fisico e mentale che ci circonda: dal giardino alla discarica, dalla sovrapproduzione di merci di consumo allo scarto incontrollato e nocivo di rifiuti, dalla creazione di panorami sintetici alla distruzione di qualsiasi coltura spontanea. Per inventare una nuova etica della cultura ambientale, secondo Iovino bisogna abbandonare i modelli di dominio ideologico che impongono filosofie totalizzanti o verticalistiche, e le tecniche di produzione interessate solo alla commercializzazione globalizzata, favorendo invece politiche di gestione del territorio su base locale, e un nuovo umanesimo, non più antropocentrico, ma espressione di una comunità bioetica più vasta.

Numerosi sono stati gli autori che in passato hanno dimostrato un atteggiamento di rispettoso riguardo verso la natura: da Emerson a Thoreau, da Melville a Twain. Oggi questa sensibilità è notevolmente cresciuta, anche grazie all’impegno dei movimenti ambientalisti e animalisti a livello internazionale, in letteratura, nel cinema, nelle arti visive. Tra i quattro scrittori presi in considerazione da Iovino, di Annamaria Ortese è ben noto lo sguardo di solidarietà e compassione universale verso ogni forma di vita: animali, vegetali, esseri umani derelitti, territorio deturpato. La consapevolezza della sofferenza che accomuna tutti, è ben evidente nel suo romanzo più celebrato, L’iguana, del 1965, in cui un animaletto surreale, metà rettile metà donna, impersona la natura stessa nei suoi aspetti più inquietanti, e insieme la ribellione a una società patriarcale che opprime gli indifesi.

La stessa idea del femminile come complessità perturbante anima le pagine del romanzo La passione secondo G.H. della brasiliana Clarice Lispector, in cui la protagonista schiaccia volontariamente una blatta, interrogandosi poi sull’essenza dell’individualità umana nella sua differenziazione con il mondo animale. Entrambe le opere delle due scrittrici mettono in discussione l’autoreferenzialità tipica dell’homo sapiens, riconoscendo negli abissi dell’animalità e di ciò che viene comunemente considerato inferiore, abietto o disgustoso, la radice di una realtà originaria, in cui materia e fisicità rivelano il profondo legame sia con il limite sia con il superamento del limite, nella ricerca di una trascendenza e di un rapporto con il divino che liberi dalle catene di una tracotanza ottusamente compiaciuta della propria unicità.

Del provenzale Jean Giono, che nel 1980 ha pubblicato il bestseller L’uomo che piantava gli alberi, Serenella Iovino mette in luce il messaggio pacifista di speranza sociale, attuato da chi generosamente dedica tempo e lavoro a salvare la vegetazione dall’incombere della cementificazione e desertificazione del suolo, in una visione bio-comunitaria che accomuna il destino delle persone a quello delle piante, delle erbe, dei corsi d’acqua e di chi li abita, prendendosi cura dell’altro da sé.

Ma sorprendente e originale è soprattutto il capitolo dedicato a Pier Paolo Pasolini, della cui sensibilità ecologica in pochi sembrano aver tenuto conto. Esempio alternativo all’intellettualità monoculturale, Pasolini ha praticato negli scritti narrativi, poetici, saggistici e nel ruolo di straordinario sceneggiatore e regista, una particolare educazione allo sguardo inclusivo, sia sul piano sociale e politico, sia sul piano linguistico. Se quindi per ecologia si intende l’attenzione alle differenze, la volontà di “far emergere le diversità come essenziali alla vita del tutto”, ecco che lo si può definire a pieno titolo “ecologista”. Ha infatti sempre valorizzato la ricerca di narrative periferiche e marginali, dal punto di vista sia geografico sia culturale (i dialetti, le borgate, il proletariato o il mondo rurale); si è identificato con la diversità sessuale senza fariseismi o censure; ha esaltato la bellezza dei paesaggi più lontani e stratificati nella storia (India, Africa, Palestina) evitando di ricadere nel conservatorismo; si è opposto a ogni livellamento culturale e ai condizionamenti consumistici della società neocapitalistica. Il paesaggio raccontato da Pasolini ha, nella sua elaborazione storica, una “scandalosa forza rivoluzionaria”, poiché nelle realtà locali e ancora incorrotte si contrappone all’industrializzazione sregolata delle campagne, all’inquinamento delle acque, al disordine urbanistico delle città, all’orrenda trasformazione omologante imposta dal potere economico su luoghi e popolazioni.

“Se la natura muore, travolta dallo sviluppo, muore anche l’arte”, e con essa ogni interpretazione vitale del presente. Impartendoci questo prezioso ammonimento, Serenella Iovino conclude la sua interessante e provocatoria indagine critica sulla narrativa ecologica.

 

© Riproduzione riservata                «Gli Stati Generali», 29 giugno 2021