AAVV, POESIE DI NATALE – IGNAZIO PAPPALARDO EDITORE, ROMA 2025
L’antologia – con prefazione di Padre Enzo Fortunato – che l’editore Ignazio Pappalardo ha dedicato alle Poesie di Natale, raccoglie ventisette composizioni di autori italiani e dodici di poeti stranieri, tutti novecenteschi, di cui uno solo vivente. Il giorno della nascita di Gesù (“Quale nascita è più scandalosa e unica e rivoluzionaria di questa?”, si chiede il prefatore) segna lo spezzarsi di un ciclo eterno di ripetizioni nella natura, inaugurando una diversa direzione del tempo, aperto verso un futuro infinito e inaudito: da quel giorno l’umanità cristiana ha iniziato a misurare la sua storia.
Per celebrare tale evento di portata universale, Francesco d’ Assisi nel 1223 ha ideato il primo presepe in una grotta a Greccio: nelle parole di Bonaventura di Bagnoregio “I frati si radunano, la popolazione accorre; il bosco risuona di voci, e quella venerabile notte diventa splendente di luci, solenne e sonora di laudi armoniose”. I poeti antologizzati nel volume qui recensito celebrano appunto la notte miracolosa in cui Dio si è fatto creatura e messaggio di salvezza per l’umanità. Lo fanno con voci e stili diversi, chi aderendo alla proposta di fede del Vangelo, chi – pur non credente – esprimendo partecipazione affettuosa e nostalgica alla festività più officiata ed evocata al mondo.
Tre le donne presenti: Ada Negri, Maria Luisa Spaziani, Cristina Campo. La prima con la descrizione di un tetro Natale di guerra (“Né campana rintocca, né parola / vibra nell’aria, né si scrolla ramo, / né passo entro la neve si sprofonda”), la seconda con la mestizia di una festa solitaria (“Natale altro non è che quest’immenso / silenzio che dilaga per le strade”), la terza malinconica nell’attesa di una presenza amata (“O tenera tempesta / notturna, volto umano!”). Tra gli italiani, tre premi Nobel (Pirandello, Quasimodo e Montale); i nomi eccelsi di Saba, Gozzano, Ungaretti, Caproni, Sereni, Luzi; due religiosi (Turoldo e Costantini), entrambi con un riferimento ai pastori accanto alla grotta; il dialettale Trilussa (“Ammalapena che s’è fatto giorno, / la prima luce è entrata nella stalla / e er Bambinello s’è guardato intorno / – Che freddo, mamma mia. Chi m’aripara? / Che freddo, mamma mia. Chi m’ariscalla?”); i delicati versi che Carlo Betocchi dedica a sé stesso la sera della Vigilia, e quelli luminosi di Leonardo Sinisgalli nel crepuscolo di Santo Stefano: “Stasera s’indovina al chiaro delle nevi / che il giorno avanza con passi di gallo. //… C’è nell’aria un indizio / di vita nuova, una speranza certa”.
I dodici poeti stranieri, con il testo originale a fronte, hanno voci più discordanti tra di loro, nei toni a volte favolosi, a volte rudi, o addirittura ironici e polemici. Se Thomas Hardy sogna che nella notte santa si inginocchino anche i buoi, Verlaine desidera ritrovare l’innocenza e l’umiltà dell’infanzia. Oscar Wilde avrebbe voluto stupirsi dinanzi a scene gloriose di un Avvento rivelatore, e si ritrova “con cuore e occhi perplessi” a contemplare angeli e colombe. I tre Magi di Yeats spiano insoddisfatti “l’impenetrabile mistero sul pavimento bestiale”, mentre quelli di Eliot si lamentano del freddo, dei villaggi sporchi, dei costi esagerati del viaggio: “questa Nascita fu / un’aspra e amara agonia per noi, come la Morte, la morte nostra”.
Brecht il comunista loda l’orgoglio materno di Maria, mentre l’ateo Jean-Paul Sartre legge sul volto di lei “uno stupore ansioso che non è apparso che una volta su un viso umano”. Soltanto Sartre scrive, con solidale delicatezza, di un Giuseppe che soffre senza confessarlo, e in dispare impara “ad accettare”. Ai versi conclusivi di Milosz, Merton e Lowell è affidata la consapevolezza che l’annuncio di salvezza proclamato dal Bambino non troverà sempre rispondenza nei destini dell’umanità: la neve continuerà a essere insanguinata, la luna silenziosa illuminerà il tramonto dei pianeti, il mondo sarà più crudele di Erode.
In tutti questi poeti rimane tuttavia la stessa preghiera: un mite desiderio di bontà e riscatto, nella notte che più di qualsiasi altra notte ha illuso e continua a illudere il genere umano con la promessa di una nuova alba luminosa.
«SoloLibri», 6 novembre 2025