DANILO KIS, DOLORI PRECOCI – ADELPHI, MILANO 1993

Un vero monumento di parole “alla ricerca del tempo perduto”, questo splendido libro di Danilo Kis: scrigno prezioso di ricordi, miniera di sentimenti e nostalgie. Ma quanto distante dalle atmosfere proustiane, rarefatte e aristocratiche, e invece abitato da oggetti e persone semplici, da affetti raccontati con pudore e discrezione, da ambienti umili e popolari, lontani dalla Storia, e da essa trascurati e travolti. Qui l’aristocrazia è solo quella dell’anima dell’autore, che torna malinconicamente a ripercorrere le tracce lasciate dal suo sé bambino, un ragazzino ebreo cresciuto in una famiglia povera e dignitosa dell’Europa centrale negli anni ’40. Questo Andreas Sam sensibilissimo, il migliore a scuola in composizione, innamorato della mamma e della compagna di classe Julija con cui scambia baci e promesse di matrimonio nel fienile: che si vergogna di bagnare il letto per l’umiliazione di vedersi deriso dalla sorella, ma è continuamente e crudelmente preso in giro dagli amici per il suo linguaggio educato e pulito. Andreas che osserva il mondo dal buco della serratura, ama le fiabe di cui vorrebbe cambiare il finale tragico, si inebria del profumo dei campi e delle acrobazie degli zingari nel circo. Danilo Kis, nel suo viaggio a ritroso nel tempo, non è più sicuro dei suoi ricordi: “Dopo tanti anni, Andreas forse non sono nemmeno io”, e ne chiede conferma ai fantasmi dei parenti (“Dimmi, Anna, ho forse inventato tutto questo?”) e ai fantasmi dei luoghi: che sono irreparabilmente cambiati (“Dovrò chiedere ad altri, ci sarà pure qualcuno che si ricorda di quella strada”), cancellati dagli uomini, dalla guerra, dalle stagioni impietose. La memoria, tuttavia, può salvare e salvarsi, aiutata dalla poesia: “Tornava al villaggio seguendo la riva. Vincitore sul tempo, sempre impotente di fronte ai fiori e al prato”.

IBS, 9 gennaio 2014