ELENA PIGOZZI, LE SARTE DELLA VILLAREY – MONDADORI, MILANO 2025, pagine 212
L’ultimo romanzo di Elena Pigozzi, Le sarte della Villarey, edito da Mondadori, presenta una struttura meditata e compiuta sia nella parte storica che in quella di invenzione. Ambientato ad Ancona nel 1943, prende spunto da una vicenda realmente accaduta, che vide come eroica protagonista una sarta semianalfabeta, Alda Renzi Lausdei, la quale con la collaborazione di molti coraggiosi volontari, riuscì a mettere in salvo dalla deportazione nazista 400 soldati, tra gli oltre 3000 imprigionati nella caserma di Villorey.
L’autrice, basandosi su documenti d’archivio dell’epoca e su ricostruzioni saggistiche recenti, offre ai lettori un quadro ambientale molto particolareggiato nella descrizione paesaggistica e topografica della città marchigiana, come nel resoconto dei drammatici eventi bellici.
Sotto i nostri occhi riappare quindi la disposizione di piazze, strade, chiese, quartieri centrali e periferici (dal più povero e animato, il Pantano, coraggiosamente attivo nel sostegno reciproco tra vicini di casa) e la commossa raffigurazione del panorama naturale: “È lì che si trova il faro vecchio. Ed è da lì che il mare si spalanca, il garbino è una brezza tiepida che ristora, cespugli di capperi l’accolgono in un’esplosione di festa”, “L’odore di pesce fritto che si diffonde nelle strade. I panni che sventolano da un balcone all’altro, l’azzurro del cielo pulito dalle nuvole”.
Altrettanto puntuale è la presentazione dei protagonisti delle vicende narrate. Dal rabbino Elio Toaff, allora al suo primo incarico come guida della comunità ebraica locale, al Parroco Bernardino Piccinelli, successivamente divenuto Vescovo del capoluogo dorico e dichiarato beato nel 2006; dal Prefetto fascista Scassellati Sforzolini, così proditoriamente ostile alla popolazione civile, fino al Ministro degli Interni Ricci: insieme ad altri umili personaggi gravitanti intorno alla caserma assediata dai tedeschi.
A tutto tondo è soprattutto il ritratto di Alda, vedova cinquantenne e madre di quattro figlie, che giorno e notte si logora nelle mansioni sfiancanti di sarta, calzolaia e panettiera, animata sia da una fede ingenua e devota, sia da slanci altruistici verso chiunque si trovi in difficoltà. “Non ha mai un cedimento, una rinuncia o un rifiuto. Sempre avanti, a occuparsi in qualche faccenda. Sempre con le mani che lavorano”, “Non sa scrivere, ma sa leggere negli animi, e forse per questo sa cosa significhi la generosità, il darsi all’altro senza ricompensa, un gesto che è offerta fine a se stessa, niente in cambio, nemmeno un grazie”.
Il lavoro all’interno della caserma, in cui vengono impiegate donne “spazientite, arrabbiate, stanche di soprusi” provenienti dalle zone disagiate della città, consiste nel lavare, rammendare, stirare la biancheria e le divise dei soldati, affezionati in maniera filiale a queste figure femminili, e ricambiati con sentimenti di sollecita protezione materna. Tra le sarte si sviluppa un senso civico e collaborativo di resistenza nei riguardi del potere militare fascista, inaspritosi dopo l’armistizio dell’8 settembre, mentre Ancona sprofonda nel caos, tra fazioni politiche opposte, delazioni, rastrellamenti, razzie: “Ci sono pantaloni, giacche e camicie da imbastire, ma anche cerniere, bottoni e morsine da attaccare, la fatica nel capirci qualcosa. Che fare? Con chi stare? Se il fascismo è finito, allora chi ci comanda? Il re? I carabinieri?”
Quando i tedeschi occupano la città con carri armati, presidi militari, mitragliatrici appostate ovunque, torpediniere attraccate nel porto, e la caccia agli ebrei e agli oppositori politici si fa più feroce, la solidarietà tra i quartieri assediati diventa concreta e tangibile, perché “fare del bene è contagioso. Forse perché è fatto così, il bene: un rivolo che si allarga fino a diventare mare”.
Scatta nella popolazione la ribellione contro la violenza dei nazisti che ammassano nella caserma Villarey migliaia di soldati, con l’intenzione di deportarli nei campi di lavoro in Germania. A questo punto interviene il coraggio e l’iniziativa di Alda, a ideare un incredibile piano di evasione che porterà in salvo 400 giovani militari, con l’appoggio non solo delle lavoratrici interne, ma di tutti gli abitanti dei rioni limitrofi, pronti a rischiare in segreto cooperando nel progetto di soccorso.
Non mi sembra opportuno rivelare in cosa consistesse lo stratagemma ideato dalla protagonista per liberare i prigionieri, benché sia facile intuire dal titolo del romanzo, e soprattutto dal sottotitolo (“La Resistenza con ago e filo”), la sua connessione con il lavoro sartoriale.
Tra chi più si adopera nell’appoggiare Alda e le altre operaie nella loro straordinaria impresa, è la giovane Laura, “delicata quanto un vaso di cristallo”, figura di invenzione che Elena Pigozzi introduce con particolare empatia già nelle prime pagine del volume.
Laura, rimasta orfana dei genitori, vive con il fratellino undicenne Milo, a cui pure è riservato un ruolo attivo nello svolgimento della vicenda. Introdotta e addestrata ai lavori di cucito dall’amica anziana, si applica con dedizione agli incarichi che le vengono affidati, pur ritagliandosi spazi di tempo e riflessione dedicati alla lettura delle poesie di Rilke lasciatele in eredità dal padre insegnante, all’amicizia affettuosa con Pietro, un gentile soldato veneto invaghito di lei, e alla cura attenta del fratello. Laura, Milo, Pietro e altri personaggi sapientemente tratteggiati dall’autrice riusciranno a salvarsi dai bombardamenti aerei e navali con cui la città viene ridotta a un ammasso di polvere, “come un presepe schiacciato”, mentre Alda muore nell’abbattimento del rifugio di Santa Palazia, insieme a 700 concittadini. Il suo sacrificio e la sua abnegazione troveranno la giusta ricompensa nella memoria collettiva anconetana, e in quella particolare dei giovani militari messi in salvo dal suo ingegnoso stratagemma.
Questa pagina poco conosciuta della storia della Resistenza, riportata alla luce e giustamente celebrata dalla scrittura piana ed elegante di Elena Pigozzi, rimane come un luminoso esempio di valorosa audacia femminile, e della capacità di resilienza di tutta una comunità nei momenti più duri della storia.
«La Poesia e lo Spirito», 12 agosto 2025