ANTOINE VOLODINE, ANGELI MINORI – L’ORMA, ROMA 2016

Antoine Volodine è un autore francese di origini russe, nato nel 1950, che vent’anni fa ha esordito pubblicando romanzi di fantascienza, per passare poi a una scrittura da lui stesso definita «post-esotica»: non tanto (o non solo) nel senso di dislocata geograficamente in un’ambientazione extraeuropea, quanto invece fluttuante in universi ed epoche «dell’altrove», in grado di superare le barriere del tempo e dello spazio, combinando storia e mito, utopia e tragedia, sogno e realtà. Le edizioni romane de L’Orma propongono ora un romanzo di Volodine (principale pseudonimo dell’autore, conosciuto anche con gli eteronimi Litz Bassmann e Manuela Draeger), uscito in Francia nel 1999, celebrato dalla critica più raffinata e vincitore di importanti premi.

Angeli minori è un testo di non facile lettura, molto giocato sull’impalpabilità delle atmosfere, sulla visionarietà, sull’inconsistenza fisica e caratteriale dei personaggi, le cui vicende continuamente si intrecciano e si sovrappongono, creando conflitti emozionali, rispolverando memorie universali, o proiettandosi in un futuro angosciosamente apocalittico.
In effetti, i paesaggi descritti da Volodine sembrano essere stati stravolti e deturpati da una qualche inconoscibile invasione aliena, o da una distruzione nucleare, o da una indefinita catastrofe bellica: animati da ectoplasmi umani – zombie vaganti, sciamani, fantasmi che continuamente si dissolvono e si ricompongono – e disseminati di fabbriche in disuso, macerie, stazioni abbandonate, cimiteri. Nel deserto subsahariano come nella steppa russa, tra i ghiacci dell’Antartide e nelle pampas sudamericane, nella Parigi dei bistrot e nelle metropoli statunitensi, sotto un sole accecante o in una nebbia avvolgente vagano animali diversi (lama, avvoltoi, bucerotidi, orsi, lupi, renne, cammelli, formiche, bisonti) e fioriscono vegetali esotici (cocco, banani, alghe, rabarbari, licheni…). Il tempo si misura sia in secondi che in secoli, eoni ed ere cosmiche, visitato da figure angeliche «minori», cioè a dire imperfette, inquiete e allarmanti. Sono i personaggi ritratti in 49 «istantanee romanzesche» (possiamo forse intravedervi, per contrasto, un richiamo ai 49 racconti hemingwayani, tanto differenti nella loro concretezza e vitalità?), uomini e donne da nomi stravaganti accompagnati a cognomi improbabili (turchi, spagnoli, ebrei, africani, cinesi), che narrano avventure senza trama, sospese tra cronaca e leggenda, in «minuscoli territori d’esilio» dove sono state respinte dalle coscienze ordinate di un occidente letterario ormai privo di immaginazione e desideri.

Affabulazioni oniriche nate dalla voce di uno dei protagonisti stessi, Will Scheidmann, creatura diabolica o celeste, a metà tra Frankenstein, Mister Hyde e Sheherazade, creata artificialmente con degli stracci ricuciti a punto croce da un manipolo di vegliarde immortali (alcune bicentenarie, altre millenarie), rinchiuse in un maleodorante ospizio chiamato Grano Volpato. Tali megere, per vendicarsi della congiura capitalistico-mafiosa internazionale, avevano deciso in un’epoca imprecisata di insufflare vita organica a questo loro orrido e incolpevole nipotino, per poi condannarlo a morte tramite fucilazione, sentendosi da lui tradite ideologicamente. Will Scheidmann si salva dall’esecuzione, proprio offrendo alle vecchie questi 49 «narrat»: prose immaginose scandite da una musicalità ipnotizzante, in cui cela scampoli di memorie personali e collettive, dialoghi e silenzi, amori e violenze, sullo sfondo desolato di un’umanità che vaga verso il nulla.

Troviamo in questi racconti echi delle metamorfosi kafkiane e delle leggende yiddish, profezie bibliche e gli oceani di Melville, le invenzioni di Borges e le allucinazioni di Cormac McCarthy, le galassie di Philip K. Dick e gli orrori dei lager di Solženicyn. Ma riformulati in uno stile originale, che sa addentrarsi nei dettagli più minuziosi come in metafore di un barocchismo immaginoso (credo che il capitolo 23, dedicato alla descrizione degli effluvi olfattivi esalanti dalla polverosa casa di riposo in cui soggiornano le anziane maliarde, sia degno di antologia), sempre mantenendo però una sorta di indifferenza denotativa, che si vieta qualsiasi sentimentalismo o empatia con i protagonisti delle vicende narrate. Così infatti Volodine mette in guardia il lettore sulle sue intenzioni narrative:

Adesso ascoltatemi bene. Non scherzo più. Non si tratta di stabilire se quel che racconto è Soloo no, abilmente evocato o no, surrealista o no, se si inscrive o meno nella tradizione post-esotica, o se è mormorando di paura, arrossendo di indignazione che metto in fila queste frasi, o con tenerezza infinita verso tutto ciò che vive, o se si distingue o no, dietro la mia voce, dietro quel che si è convenuto di chiamare la mia voce, un’intenzione di lotta radicale contro la realtà o una semplice debolezza schizofrenica di fronte alla realtà, o ancora un tentativo di canto di uguaglianza, incupito o meno dalla disperazione e dal disgusto davanti al presente o davanti al futuro. Non è questo il punto. Insomma, una scrittura che si nutre di se stessa e delle proprie allucinazioni. Esemplarmente resa da Albino Crovetto, che è anche un poeta, oltreché un traduttore.

«Lo Straniero» n. 193, luglio 2016

© Riproduzione riservata       www.sololibri.net/Angeli-minori-Volodine.html       18 agosto 2016