LINO ANGIULI, APPELLO DELLA MANO – ARAGNO, TORINO 2010

Secondo la puntuale e approfondita postfazione di Daniela Marcheschi, questo libro di poesie di Lino Angiuli manifesta un «entusiasmo della lingua», un «gusto spiccato della parola» che evidenzia «tensione di corporea fisicità… concretezza… invenzione verbale… tono assertivo… all’insegna del molteplice trionfante». E infatti questa ricchezza esuberante di significati, la positività comunicativa del messaggio, la pienezza inventiva del lessico, coniugate a un severo controllo formale, rendono la scrittura del poeta pugliese decisamente originale nel panorama piuttosto minimalista, scarsamente coraggioso e innovativo della nostra poesia contemporanea. C’è senz’altro ironia nei suoi versi, ma anche un risentito richiamo etico al dovere civile di osservazione e comprensione di ciò che ci circonda, e l’invito a una solidarietà partecipe verso chi rimane ai margini, della società e della vita. Allora il titolo del volume sembra suggerire la necessità di una presa di posizione: una mano che si alza, si apre e si schiera, sia per interrogare che per esprimere la sua decisa intenzionalità. Come forse dovrebbe saper fare anche la poesia, al di là delle incertezze ed esitazioni di tono e di senso tanto di moda oggi. I versi di Angiuli non sembrano soffrire crisi di valori, le parole si rincorrono nette e affollate, quasi prive di segni di interpunzione e sospensione: solo ribadite dal punto fermo finale, che è anche e sempre una constatazione di realistica volontà affermativa.
Nelle sei sezioni che costituiscono il volume la polifonia delle immagini è soprattutto indirizzata allo scandaglio dell’alterità, piuttosto che all’introspezione egotistica. Lo sguardo del poeta è rivolto al fuori di sé, con un interesse partecipe e vivace a tutto ciò che è “mondo”. Il paesaggio, innanzi tutto, con la sua vegetazione mediterranea fatta di mentuccia, limoni, gerani, arance, peperoncini, capperi, cipolle rosse, rosmarino e pomodori. E poi la terra argillosa, la sabbia, i golfi e il mare («Io e il mare siamo due fratelli / e certe volte lui mi piglia in braccio / mi parla greco dei suoi pomeriggi»), in una «geografia salata» concretissima e immersa nella fisicità. Si stagliano imperiosamente sulla pagina come in un bassorilievo i visi e i corpi delle persone, le loro voci e storie, i loro amori e lavori che dalle vicende particolari di esistenze minime assurgono a una universalità paganeggiante: «Niente è più sacro del respiro nostro / che riesce a incollare il principio e la fine». Sebbene infatti i riferimenti a una religiosità popolare abbondino in tutta la raccolta (spiritosanto, altarini, erode e pilato, breviario, miracoli, reliquie, avvento, resurrezione e «il signore sia con voi andate in pace»), il ciclo delle esistenze raccontate appartiene a una corale e antica tradizione impastata di natura e leggende, più profane che devote. Il cielo non confina tanto con lo spirito, quanto con l’ «azzurro che / confonde pesci e uccelli», e nella sezione più originale del libro («In lungo e in largo- orazioni settimanali»), scandita in sette sermoni laici, ciascuno formato da sette strofe di sette versi “narrativi”, il poeta riesce a trovare una sua voce pietosa e profetica insieme, clamans nel deserto dell’indifferenza morale che ci livella tutti: sia che mediti sulla morte, sulla guerra o sull’emigrazione, sia che sbeffeggi sarcastico le mode alimentari o salutistiche («pesce azzurro tre volte a settimana e la verdura cruda / occhio alla bilancia occhio al grasso occhio alla ruga»), o elevi una preghiera scandalizzata e polemica al dio dell’ufficialità ecclesiastica.
La rigorosa struttura e la disciplina formale in cui Angiuli sembra voler controllare la foga travolgente del suo dettato poetico è evidente ancora in altre due sezioni del volume: nelle otto composizioni di  S’io fossi donna, immedesimate in una sensibilità assolutamente attenta al femminile, composte tutte da due quartine di otto versi quasi sempre formati da due ottonari, e nelle  Tre tredicine di tredici versi, molto giocati linguisticamente. Angiuli riesce infatti a ben destreggiarsi tra neologismi, accostamenti spiazzanti, invenzioni lessicali, plurilinguismi, divertissment, irridendo ogni paludata e autocompiaciuta seriosità letteraria, con la consapevolezza di chi sa di avere qualcosa da dire, e sa anche come dirlo.

«Qui Libri», dicembre 2012