EUGENIO BORGNA, LA SOLITUDINE DELL’ANIMA – FELTRINELLI, MILANO 2013

Il Professor Eugenio Borgna, psichiatra di fama internazionale, ha dedicato un suo libro al tema affascinante e vastissimo della solitudine. I suoi precedenti volumi (otto nell’ultimo decennio, tutti editi da Feltrinelli) indagavano il mistero della sofferenza umana, nei vari aspetti della malattia psichica: dalla schizofrenia all’ansia, dalla malinconia alla depressione. Ma sempre con cuore attento ad ogni vibrazione dell’anima e della mente umana: quindi anche alle emozioni, alle attese, alle speranze che nutrono il vivere quotidiano delle persone, sane o malate che siano. In quest’ultima opera, è appunto l’universo infinito delle varie solitudini che viene affrontato anche con l’ausilio di apporti culturali diversi, che sconfinano nella filosofia (i nomi più citati sono quelli di Pascal, Kierkegaard, Nietzsche, Schopenhauer: per arrivare ai novecenteschi Simone Weil, Husserl, Jaspers, Wittgenstein, Barthes ), nella religione (Sant’Agostino, i mistici, Santa Teresa di Calcutta), nel cinema e nella musica (Ingmar Bergman, Bach, Chopin), nella letteratura e poesia (Leopardi, l’amata Emily Dickinson, Rilke, Bernanos, Etty Hillesum): tutti intellettuali che hanno esplorato più le intermittenze del cuore che le diverse forme della razionalità. L’epigrafe di apertura porta la firma della Dickinson, con due suoi illuminanti versi : «Forse sarei più sola / senza la mia solitudine», che ben esemplificano il rapporto di quasi riconoscenza, di quasi confidenza e familiarità che tutti dovremmo avere con la solitudine. La quale è cosa ben diversa dall’isolamento, che Eugenio Borgna definisce «come solitudine negativa, in cui si è chiusi in se stessi, perduti al mondo e alla trascendenza nel mondo». Perché ««ci si può sentire soli anche nel contesto di una folla, e non si è soli, ci si può non sentire soli anche nel deserto: quando questo sia riscattato, e redento, da una palpitante apertura a noi stessi e, benché assenti, agli altri». E ancora: «La solitudine, come il silenzio, è esperienza interiore che ci aiuta a vivere meglio la nostra vita di ogni giorno…rientrando nella nostra vita interiore…avvertiamo l’importanza della riflessione e della meditazione, della sensibilità e della carità, delle attese e della speranza, della contemplazione e della preghiera».

Quali sono invece le cause che inducono a isolarsi, a chiudersi in una «prigione senza porte, che è quella della lontananza dagli altri»? Borgna ne elenca molte: «la malattia depressiva, la mancanza o la perdita di persone amate, la dissolvenza di ruoli sociali significativi…ma anche la nostra indifferenza e la nostra noncuranza, la nostra desertificazione emozionale, il nostro rifiuto dell’amore…». Il dolore del corpo e dell’anima, le crisi di fede, la timidezza, i sensi di colpa per colpe mai commesse, l’acutizzarsi di conflitti sociali, l’angoscia, le tante paure che paralizzano le nostre ore: sono tutti fattori che spingono le persone a chiudersi in se stesse, come monadi senza finestre. Ma non si deve, per questo, ghettizzare con giudizi impietosi chi si ammala di solitudine; l’autore ha parole molto dure verso coloro che si vantano di una loro presunta e presuntuosa normalità: «Guai a consegnarsi ai pregiudizi astratti di una normalità apparentemente portatrice e creatrice di valori che non conosce i significati, e i valori, della sofferenza e del dolore». Nell’esplorare i più diversi percorsi umani, dalla mistica alla ricerca di una felicità perduta, dall’immaginazione poetica al baratro della malattia e della morte, Borgna arriva a dare della solitudine una visione anche positiva, quasi salvifica: «come compagna di strada che ci salva, nel silenzio, dai discorsi inutili e dagli impegni lacerati, e contaminati, della insignificanza». Questo ricchissimo e necessario volume si chiude con un capitolo dedicato alla cura del dolore, in grado di analizzare in quali situazioni sorga e si perpetui la scelta della solitudine; e con quali interventi si possa soccorrere chi soffre: attraverso quali parole e silenzi, con quali carezze e attenzioni, con quanta presenza delicata e generosa insieme. Soprattutto, con quali terapie mediche, offerte dalla più avanzata psichiatria fenomenologica, che si affida alla cura farmacologica unita a quella relazionale, «nutrita di dialogo e di ascolto». Ecco quindi l’umanissimo invito finale: «Siamo gentili con chi sta male: una psichiatria gentile, che rifiuti l’indifferenza e che sia suscitatrice di speranza, è ancora possibile».

«Orizzonti» n. 53, giugno 2014