ANGELO FERRACUTI, LA METÀ DEL CIELO ‒ MONDADORI, MILANO 2019

Lo scrittore marchigiano Angelo Ferracuti (Fermo, 1960), autore di romanzi, racconti, saggi e reportage, è noto alla critica e al pubblico dei lettori soprattutto per il suo impegno testimoniale sul tema del lavoro e della letteratura aziendale, così poco frequentata in Italia. Con il romanzo La metà del cielo torna invece alla narrativa biografica, unendo insieme, con sensibilità priva di retorica, elementi di vita privata e collettiva, strazio personale e responsabilità sociale. La stesura del libro, durata quattordici anni, ha utilizzato la memoria come “elaborazione permanente del lutto”, nella volontà sia di fissare i ricordi, sia di superare il dolore causato dalla morte precoce della moglie Patrizia, uccisa da un cancro poco più che quarantenne.

Il volume si apre sulla telefonata della figlia minore che comunica al padre la fine attesa e temuta della mamma; da lì si dipartono fili che intrecciano insieme momenti di un passato di coppia e familiare, felici o combattuti, con vicende di cronaca italiana e mondiale. Nelle stesse giornate angosciose e convulse in cui si preparavano e celebravano le esequie (tra amici e parenti che invadevano la casa, affettuosamente solidali, costernati o confusi), le notizie trasmesse dalla televisione si susseguivano nel tragico silenzio di un’assenza. La morte di Pinochet, la strage di Erba, Superquark con i suoi servizi sull’inquinamento, scorrevano davanti agli occhi del marito impietrito, già in preda ai sensi di colpa e ai rimorsi di chiunque sopravviva a una persona amata: “Sono colpevole, mia moglie è morta. Non l’avevo uccisa veramente, però non ero riuscito a salvarla”.

La stessa ricostruzione della vicenda matrimoniale offre al protagonista continui appigli alle giustificazioni e alle recriminazioni, nel rivivere il primo incontro casuale in un teatro lombardo, quindi il corteggiamento, la convivenza e le nozze, attraverso i momenti di passione intensa e quelli di gelosia, i litigi feroci e le delusioni reciproche, il tradimento di lui con una giovane studentessa (“la mia Lolita”) e la traumatica scoperta della malattia di lei. Severo nell’elencare le proprie debolezze e i propri fallimenti (le ire improvvise, le ambizioni e le frustrazioni letterarie, l’abuso di alcol, l’inquietudine di chi si sente invecchiare), Angelo è altrettanto coinvolgente quando racconta le pagine più dolci ed emotivamente condivise della sua vita con Patrizia: i viaggi, le fotografie, la nascita delle due bambine, l’impegno politico, le letture e le canzoni (le note dei Jethro Tull, Led Zeppelin, Deep Purple, di Keith Jarrett e Ian Anderson si rincorrono con quelle del disco galeotto, Woman di John Lennon): “quando la nostra vita insieme c’era ancora e scorreva nei suoi movimenti minimi, quando eravamo giovani e immortali, e tutto era d’oro, ogni minuto, ogni battito, ogni momento di quella vita, quel vedersi all’improvviso in soggiorno di ritorno dal lavoro, dirsi semplicemente ciao”.

Patrizia nelle parole dell’autore si manifesta in tutta la sua vivace esuberanza di donna propositiva e anticonvenzionale, creando un contrasto penoso con i tre anni di calvario, raccontato puntualmente nei ricoveri ospedalieri, nelle cure chemioterapiche, nei crolli fisici e psichici. In lei (alta e robusta, dal sorriso aperto e dalle labbra sensuali; battagliera, animata da un’intelligenza strategica), era presente uno “strano contrasto di dolcezza sobria, austera, e animalità selvaggia”. Insieme, loro due avevano vissuto l’impegno politico giovanile, in una stagione di slanci generosi, di utopie e di lotta; quindi la delusione di un riflusso sociale nell’individualismo, nell’invidia economica e nella rincorsa al successo: “Patrizia, hanno vinto i barbari”.

Particolarmente taglienti e sarcastiche sono le pagine che Ferracuti dedica alla sua “piccola città di morti”, in cui vede emergere una strisciante cattiveria quando non addirittura una gratuita ostilità, nel dilagare di pettegolezzi meschini, nella totale assenza di solidarietà sociale, e in una agguerrita competizione fine a se stessa: “Si erano fatti tutti borghesi, anche gli artigiani, gli operai, gli sguatteri, i facchini, le donne delle pulizie, i carpentieri”. La delusione provocata dal tramonto di un orizzonte ideale si coniuga con le difficoltà di crescere da solo le due figlie adolescenti, di seguire i vecchi genitori artritici e arteriosclerotici, e con il desiderio di sottrarsi alle responsabilità attraverso i continui spostamenti o il bere fino allo stordimento. Fino a quando lentamente il dolore e la fatica di vivere si alleggeriscono, e un aiuto insperato arriva dalla comparsa di una nuova figura femminile, con cui riprendere in mano il timone della propria quotidianità, e riaprirsi a una rinnovata fiducia verso la vita.

 

© Riproduzione riservata    https://www.sololibri.net/La-meta-del-cielo-Ferracuti.html  11 novembre 2019