AAVV, LA PREGHIERA DI CHI NON CREDE – MONDADORI, MILANO 1994

Chi non crede prega? Forse sì, più spesso di quello che si pensa. Può pregare per un’abitudine assunta durante l’infanzia, per paura, per disperazione. Può pregare – come probabilmente fanno quelli che Hermann Hesse definiva “die Suchende”, coloro che cercano –, nella speranza di essere ascoltato. O, come suggeriva Giorgio Caproni in un suo insuperato e troppo poco ricordato poemetto del 1964, Lamento (o boria) del preticello deriso, “prego … non, come accomoda dire / al mondo, perché Dio esiste: / ma, come uso soffrire / io, perché Dio esista”.

In un volume pubblicato da Mondadori nel 1994, ancora recuperabile online, La preghiera di chi non crede, diverse ma tutte ugualmente coinvolgenti sono le considerazioni espresse da tre personaggi (uno psicanalista, una filosofa e poeta, un monaco zen) riguardo al quesito che viene loro posto. Coordinate da un’introduzione, da tre commenti e da una conclusione del Cardinale Carlo Maria Martini, le tre ipotesi di percorso sulla preghiera sono state registrate durante alcune lezioni tenute alla VII Cattedra dei non credenti di Milano, nella volontà manifesta di aprire un dialogo e un confronto con chi non aderisce ad alcuna religione ufficiale.

Lo psicanalista Mario Trevi, in un intervento che sembra essere il più supportato da esperienza (o sofferenza) umana e tensione emotiva, prende in esame le risposte possibili alla domanda: “Chi non crede prega?”, non prima di aver chiesto venia per la tentazione professionale di ridurre i fenomeni spirituali alla dimensione psichica, ricadendo così nel relativismo psicologico, già stigmatizzato da Buber nella sua replica a Jung. Trevi cita l’affermazione coraggiosa di Primo Levi che, da ateo coerente, aveva rifiutato la preghiera come richiesta d’aiuto anche nei momenti più tragici della sua detenzione nel lager. Un’altra ebrea, invece, Simone Weil, suggeriva una risposta paradossale all’ipotesi di un colloquio col divino da parte di chi non crede: “Pregare Dio, non solo in segreto rispetto agli uomini, ma pensando che Dio non esiste”. Pregare, diciamo così, “gratuitamente”, “abolendo il dativo di ogni richiesta… l’oggetto di ogni lode”, per arrivare magari alla purezza esaltante dell’esortazione di Sant’Agostino: “Nolite quaerere a Deo nisi Deum”. Trevi accenna quindi alla sua esperienza personale, anch’egli ebreo ma cresciuto in un ambiente misto, assolutamente tollerante e pluralista, portato a credere in un ecumenismo senza confini: definendosi incapace di pronunciare alcun credo, ma nello stesso tempo in grado di pregare, si dichiara convinto che Dio e preghiera siano la stessa cosa, e che in essa si possa “sperimentare la vertigine di una condizione spirituale” intesa come pietà religiosa nella forma dell’amore.

Il secondo, coltissimo intervento di Roberta De Monticelli, docente di filosofia e poeta, si interroga su “La poesia è preghiera?”, e partendo dall’Inno omerico alle Muse e ad Apollo, attraverso Aristotele e Platone, Dante e Montale, Husserl e Max Scheler, in un crescendo di rimandi e citazioni dotte, postula un’origine comune alla poesia e alla preghiera, come a ogni parola “sorgiva”, individuabile nel canto di riconoscenza, un grazie che appartiene alla nostra memoria inconscia, quella poetica, vicina alle radici dell’essere, più tardi razionalizzata nella memoria conscia della ricerca filosofica.

A un monaco buddista è affidata la terza riflessione del volume, riguardante la preghiera intesa come “cammino verso il nulla”, dato che per il buddismo fine ultimo di ogni percorso umano è appunto l’approdo al nulla, al vuoto. Un intervento, questo del monaco Shoten Minegishi, attento alle pratiche di preghiera più rigorose, al simbolismo severo di una religione intesa non tanto come filosofia, quanto come pratica di vita, cammino verso l’ineffabile, attraverso lo svuotamento di sé e la comunione con l’altro da sé.

Il Cardinale Martini, promotore dell’iniziativa e ideatore del tema del convegno, si è riservato il compito di concludere il volume, collegando tra loro le tre testimonianze attraverso l’individuazione di un filo comune, che indica nella preghiera un elemento connaturale alla nostra esistenza storica e uno strumento di adesione al mistero dell’Essere. Preghiera come passaggio dalla ratio (soliloquio, esplorazione teorica) all’oratio (dialogo con l’Altro, abbandono fiducioso), per arrivare all’adoratio (adesione e compenetrazione nell’Essere), aldilà di qualsiasi facile fideismo e intento di persuasione volto a chi non crede, o pratica una fede differente dal cristianesimo.

 

© Riproduzione riservata      «La Poesia e lo Spirito», 14 febbraio 2023