Nato a Venezia nel 1955, Gianfranco Bettin è laureato in Scienze politiche. Ha insegnato e lavorato nel campo della ricerca e degli studi socioeconomici e politici. Giornalista pubblicista, narratore e saggista, ha pubblicato alcuni romanzi e diversi volumi di indagine storica e sociale. Attivista politico e ambientalista, è stato deputato al parlamento, consigliere regionale del Veneto, assessore e prosindaco di Venezia e presidente della Municipalità di Porto Marghera. Attualmente è consigliere comunale a Venezia.

Tra i suoi libri: Qualcosa che brucia, Garzanti 1989; L’erede. Pietro Maso, una storia dal vero, Feltrinelli 1992; Nemmeno il destino, Feltrinelli 1997, 2004; La strage: Piazza Fontana. Verità e memoria, Feltrinelli 1999; Il clima è fuori dai gangheri, Nottetempo 2004; Gorgo: in fondo alla paura, Feltrinelli 2009; Cracking, Mondadori, 2019; I tempi stanno cambiando. Clima, scienza, politica, E/O 2022; La tigre e i gelidi mostri. Una verità d’insieme sulle stragi politiche in Italia, Feltrinelli 2023.

La domanda più scontata che si può fare a un sociologo, in un’intervista sulla poesia, è se tale forma letteraria mantiene una rilevanza non solo culturale, ma anche civile, nell’Italia contemporanea, come per esempio è stato nell’800. La poesia, oggi, serve ancora a qualcosa nella nostra società?

Serve a molto, forse non a molti, ma quelli che ne vengono raggiunti, e che la cercano, ne traggono forza, idee, e a volte arrivano – loro, così alimentati – a tanti altri.

 

A quale età ha iniziato a leggere versi, e privilegiando quali autori nell’arco della sua vita? Ci sono state voci poetiche, anche straniere, che hanno lasciato un’impronta sul suo impegno politico e ambientale?  

 

Ha incontrato personalmente qualche poeta, e traendone quali arricchimenti dal punto di vista umano?

Ho conosciuto diversi poeti. Un po’ meglio, Patrizia Cavalli e Andrea Zanzotto. Cavalli quando ero molto giovane, negli anni Settanta, nell’ambiente di Elsa Morante (che pure ho conosciuto bene, e che considererei anche poeta oltre che romanziera, grandissima, a cui devo molto sia della mia formazione culturale che umana). Alla capacità di condensazione del verso di Cavalli, alla gravitas che cela nella sua grazia e leggerezza apparente (ma anche sostanziale, spesso, mozartiana), ho guardato sempre, cercando di assimilarla, scrivendo spesso di cose pesanti e cupe io stesso. Né le poesie né altri testi “cambieranno il mondo”, ma qualcosa, qualcuno, qualche momento sì, invece, che li cambiano. Patrizia lo sapeva. Zanzotto l’ho incontro quand’ero già adulto, sui 35 anni, alla fine degli anni Ottanta, dunque, ma il rapporto con lui, proseguito fino alla sua morte nel 2011, è stato davvero fecondo, per me, ricco di idee e suggestioni, di discussioni e scambi, in particolare sul territorio di entrambi, il Veneto, nel confronto tra la sua Marca e le mie Venezia e Porto Marghera, mondi estremi e alieni l’un l’altro e tuttavia compresenti in uno spazio ridotto, per i quali Andrea aveva grande interesse.

Che giudizio dà della produzione poetica attuale nel nostro paese? Dopo l’ermetismo, l’impegno politico del dopoguerra, lo sperimentalismo degli anni ’60, il collegamento con le arti visive e musicali, non ritiene ci sia stato un ristringimento di prospettiva, sia in termini di una chiusura solipsistica nel privato, sia nell’abbandono della ricerca formale?

Non ne so abbastanza per azzardare un giudizio. A volte mi imbatto nella poesia contemporanea, a volte mi accorgo di cercarla, e di trovare non di rado versi o testi che mi confermano in quella lontana idea che ne ho sempre avuto e che risale alle prime letture: l’eccezionale capacità della parola poetica di dire, o suggerire o evocare, qualcosa che non si può dire in un altro modo e che esprime una verità, la precisione clinica e artistica per così dire, di ciò di cui parla e, al tempo stesso, di far risuonare in sé tutto quello che fino a quel momento si è letto altrove, in altri testi, in altre circostanze, mettendo tutto insieme in un significato specifico, in quel punto, quel puntino connesso a una vastità incommensurabile, di cui si è parte e in cui ci si perde, tuttavia trovando qualcosa di sé. Tutti i limiti che la domanda rimarca rimangono: solo, non so se riguardino la poesia attuale o siano e siano stati propri di tutta la poesia, sempre. Capita, però, che vengano superati, anche oggi. che una forza e una grazia e una vitalità poetica si producano, in certi casi.

Poesia come spettacolo, esibizione, performance, poetry slam, festival, letture… Eppure le vendite nelle librerie ristagnano, mentre si alza il livello di competizione tra poeti, che rimangono i soli a leggersi tra di loro. Cosa ne pensa?

Ancora una volta, non ne so molto, ma ho l’impressione che tutto ciò sia sempre accaduto (comprese, in Italia, le scarse vendite, purtroppo), che faccia da sempre parte degli “immediati dintorni” della poesia (e della letteratura, e dell’arte). Per il resto, che si moltiplichino occasioni pubbliche – spoken word e poetry slam compresi, di cui pioniere in Italia è stato un altro mio amico valente poeta, Lello Voce – va benissimo: che parole e versi girino, vagando nell’aria e nella testa di chi ascolta, di chi passa e va.

 

© Riproduzione riservata           «Gli Stati Generali», 20 ottobre 2023