MAURIZIO BETTINI, A CHE SERVONO I GRECI E I ROMANI? – EINAUDI, TORINO 2017

Leggendo questo interessante volume di Maurizio Bettini, professore di Filologia Classica   all’Università di Siena, scrittore e strenuo difensore (e diffusore) della cultura umanistica, mi è tornata alla mente la domanda che mi rivolse mio padre, tecnico cartario con una propria azienda meccanica, quando gli comunicai l’intenzione di iscrivermi alla facoltà di Lettere Antiche: “A cosa ti serve studiare il passato? Almeno imparassi il greco moderno…” Se adesso mi fa sorridere ricordare il suo ingenuo pragmatismo, allora – finito il liceo – mi ero sentita incompresa e umiliata.

Quindi, A che servono i greci e romani? Forse è il caso di mettere in discussione proprio il concetto di “servire”, di scopo e utilità, come giustamente fa Bettini ad apertura di volume. Pare che agli occhi di economisti e politici le creazioni culturali “non servano” a nulla: tuttalpiù vengono prese in considerazione solo nel caso producano beni da consumare e da cui trarre profitto. Infatti abbondano metafore tratte dal mondo finanziario e commerciale per indicare “i prodotti” della cultura: beni, patrimonio, offerta, crediti, risultati, valorizzazioni ecc. Mentre già Gaetano Salvemini aveva affermato negli anni ’50 che «la coltura è la somma di tutte quelle cognizioni che non rispondono a nessuno scopo pratico, ma che si debbono possedere se si vuole essere degli esseri umani e non delle macchine specializzate. La coltura è il superfluo indispensabile».

Una necessità, dunque, un lusso che dobbiamo poterci permettere e meritare. E all’interno della produzione culturale, che ruolo occupano gli studi classici, quali bisogni soddisfano, quanta attenzione devono pretendere da noi? Il nostro paese gode di un incredibile privilegio: è naturalmente, felicemente, gratuitamente erede di un’eccezionale tradizione culturale, che gli deriva da più di due millenni di storia, di arte, di letteratura depositata in monumenti, affreschi, poesie, opere teatrali, testi filosofici. Tracce che racchiudono come in uno scrigno prezioso la memoria di una civiltà, che per secoli ha saputo tramandarsi nelle generazioni, arricchendole, ispirando ogni nuova produzione artistica. Se non ci fosse stato Virgilio, forse non avremmo avuto Dante, senza Ovidio Ariosto avrebbe scritto qualcosa di diverso; quanto devono Machiavelli a Livio, Galileo a Lucrezio, Leopardi a Catullo? I classici sono la nostra memoria collettiva, un’enciclopedia condivisa da tutti gli italiani, che si esprime in primo luogo attraverso una lingua ricalcata sul latino, in un meccanismo di continuità culturale individuabile non solo nel lessico e nella sintassi, ma anche in un patrimonio comune di immagini, di leggende, di miti. Un classico, secondo Italo Calvino, «è un libro che non ha mai finito di dire quello che ha da dire». Per Maurizio Bettini, è un’opera letta e studiata da molte generazioni di individui, tanto che la sua sostanza si è fusa con quella della cultura successiva.

Perché questa prestigiosa memoria culturale non vada persa (e già si sta privilegiando una trasmissione orizzontale del sapere, trascurando invece la sua dimensione verticale, diacronica) dobbiamo rivitalizzarla, nutrirla, riaccenderla attraverso nuove strategie didattiche.  Nella scuola, in primis, ma anche nell’editoria, nelle produzioni musicali, televisive, cinematografiche. L’insegnamento delle lingue classiche è oggi cristallizzato in formule stantie e inadeguate. Bettini propone una drastica rivoluzione nei programmi scolastici, con l’inserimento di attività in grado di suscitare più interesse e entusiasmo negli alunni. Rielaborazione e messa in scena di testi teatrali; reception studies che rintraccino la presenza dei classici nelle opere letterarie e artistiche attuali; approfondimento di strategie comunicative attraverso i testi della retorica antica; visite guidate a musei e siti archeologici. Ma soprattutto confronto con l’alterità del mondo classico, con la sua diversità nei modelli religiosi, familiari, politici, legali rispetto a quelli della nostra epoca. Gli insegnanti dovrebbero riuscire a suscitare negli allievi una curiosità arricchente proprio nei confronti dell’antichità, incoraggiandone lo studio nelle analogie e nelle differenze con la società contemporanea, individuando nel latino e nel greco le particolarità lessicali e di struttura sintattica che le rendono lingue tanto vicine e altrettanto lontane dalla nostra. I classici esprimono quindi una realtà alternativa a quella che viviamo quotidianamente: la lettura di questo volume ci invita, con entusiasmo e appassionata vivacità, a riscoprirla.

 

© Riproduzione riservata     www.sololibri.net/che-servono-Greci-Romani-Bettini.html   6 marzo 2017