EUGENIO BORGNA, LA FRAGILITA’ CHE È IN NOI – EINAUDI, TORINO 2014

La fragilità è un difetto, una colpa, la spia incontestabile di uno stato di precaria e instabile debilità?
Il Professor Eugenio Borgna, psichiatra e fenomenologo di fama, le dedica questo prezioso volumetto pubblicato nella collana  Le vele  di Einaudi, da subito prendendo le sue difese: «La fragilità, negli slogan mondani dominanti, è l’immagine della debolezza inutile e malata, inconsistente e destituita di senso; e invece nella fragilità si nascondono valori di sensibilità e di delicatezza, di gentilezza estenuata e di dignità, di intuizione dell’indicibile e dell’invisibile che sono nella vita, e che consentono di immedesimarci con più facilità e con più passione negli stati d’animo e nelle emozioni, nei modi di essere esistenziali, degli altri da noi».

Fragile è il silenzio, espressione spesso di timidezza o incapacità comunicativa, e fragili sono anche le parole, inadeguati scandagli dell’anima propria e altrui. E quanto fragili, trepide e vulnerabili sono le emozioni che ci vivono dentro, siano esse positive come la gioia, la speranza e la grazia, impalpabili e transeunti, siano invece negative come la tristezza, la malinconia, la nostalgia, che oscurano gli orizzonti delle nostre giornate e i rapporti con gli altri. Eugenio Borgna riflette sulla natura della fragilità come esperienza interpersonale («… è il nostro destino… nasce, si svolge e si articola in una stretta correlazione con l’ambiente in cui viviamo, e cioè con gli altri da noi»), e si addentra empaticamente con la sua decennale esperienza professionale negli stati fisici e psichici più segnati dalla fragilità: la malattia, in particolare quella mentale, nei suoi aspetti patologici e clinici.

La follia non è evento naturale bruciato dalla sua insignificanza, ma è esperienza storica ed esperienza sociale: non c’è follia nel regno animale. La follia non è qualcosa di estraneo alla vita: in alcuni fra noi essa si manifesta con grande intensità e con un diapason fiammeggiante di angoscia e di tristezza, di disperazione e di dissociazione; ma la follia nella sua radice più profonda è una possibilità umana, che è in ciascuno di noi, con le sue ombre più o meno dolorose, e con le sue penombre, con le sue agostiniane inquietudini del cuore. Il dolore e la stanchezza di vivere possono suggerire a chi soffre la strada definitiva del suicidio, seguita con severa determinazione dalla giovane poetessa Antonia Pozzi, o possono murare l’individuo nel «fine pena mai» dell’Alzheimer, malattia tuttora circondata «dal filo spinato del pregiudizio». E gli anni più scalfibili, le età dell’esistenza più aggredibili dal sentimento della propria inadeguatezza, sono secondo Borgna l’adolescenza e la senilità, «cittadelle assediate» da paure, sconfitte, solitudini, dipendenze emotive, subalternità ideologiche: periodi di vita non ancora sfruttabili o già totalmente sfruttati dal mondo produttivo e consumistico che ci condiziona tutti. Eppure, scriveva San Paolo nella Lettera ai Corinzi, «quando sono debole, allora sono potente». Come non riconoscere, infatti, una vittoriosa forza di resistenza in alcune esperienze mistiche solo all’apparenza inquiete e angoscianti, come quelle di Teresa di Lisieux e di Teresa di Calcutta, o nelle esili figure artistiche di Alberto Giacometti? E cosa ci può indicare la vulnerabilità del carattere femminile, più sensibile e introspettivo di quello maschile, capace di riconoscere non solo le proprie ferite, ma anche quelle altrui, quando riesce a trasformare con tenerezza «le relazioni umane, immergendole in atmosfere di accoglienza, e di non conflittualità»? La fragilità, conclude Eugenio Borgna, non è «una forma di vita inutile e antisociale, e anzi malata, e che non merita nel migliore dei casi se non compassione»: essa nasce «dalle falde più profonde e creatrici della nostra interiorità», ha l’inconsistenza di un sorriso, la sua gratuità, ma anche la sua profonda dolcezza e mite iridescenza.

 

«incroci on line», 14 dicembre 2014