ROBERT DESNOS, LA COLOMBA DELL’ARCA – MEDUSA, MILANO 2021

Con l’importante introduzione e l’attenta cura di Pasquale Di Palmo, appassionato studioso del surrealismo, è uscita presso l’editore milanese Medusa l’antologia La colomba dell’arca di uno tra i maggiori poeti francesi della prima metà del ’900: Robert Desnos (Parigi1900-Theresienstadt, 1945).

Nato in un quartiere popolare parigino, nella capitale trascorse tutta l’esistenza, animandone con vivacità il panorama culturale, circondato da amici e nemici famosi: Picasso,  Hemingway, Dos Passos, Éluard, Artaud, Poulenc, Aragon, Masson, Cocteau, Clair, Céline, Drieu La Rochelle… Fu giornalista, critico letterario, autore radiofonico, pubblicitario. La sua convinta adesione iniziale al movimento surrealista e agli ideali professati da André Breton, si esprimeva in una scrittura legata alle suggestioni dell’écriture automatique, del désordre formel, degli accostamenti analogici casuali dettati dai sonni ipnotici cui si sottoponeva, talvolta sotto la guida di una medium. La linea poetica di Desnos, votata agli ideali di libertà e indipendenza che lo condussero a morire nel campo di concentramento di Terezin per avere preso parte attiva alla Resistenza, lo indusse nel 1927 a sconfessare polemicamente le direttive bretoniane, rivolte a un più esplicito impegno politico a fianco dei comunisti, per rimanere fedele a una scrittura giocosamente inventiva, caleidoscopica, irrazionale, antilirica, capace di accettare senza censure qualsiasi suggerimento dell’attività inconscia del pensiero.

La sua raccolta più famosa, Corps et biens, pubblicata da Gallimard nel 1930, utilizzava sperimentazioni linguistiche tese a creare effetti stranianti e dissacratori (tautologie, irregolarità grammaticali e sintattiche, allitterazioni, calembour, cantilene, paronomasie, palilalie), secondo un’esplicita dichiarazione programmatica: “In rivolta contro la morale nella vita, l’autore, nella sua poesia, è in rivolta contro la forma”. Questa sua posizione provocatoria, intenzionata a scardinare la produzione letteraria tradizionale, traeva ispirazione sia dal dadaismo di Tzara, sia dai calligrammi di Apollinaire e dalla patafisica di Jarry, in analogia con la rivoluzione pittorica messa in atto da Duchamp.

“Attendendo / chi attende tendendo / Sotto quale tenda?”, “Che angosciante angoscia! / Ma le amanti disarmate hanno capelli capelluti / Cieli celesti / terra terrestre / Dov’è mai la terra celeste?”, “gatto selvaggio / gatto gatto selvaggio equivalente a saggio / gatto saggio o saggio selvaggio / lasciate seccare le cacce leccate / caccia questi carri senza cavalli e questa spina dorsale / senza scialli”, “Muori mio male ma mimano mani / Nodi, nervi no anelli. Nessun nord / Medesimo molle amore? morose, morde / Nude nenne novizia né Nina”, “occhio! / ciglio! ascella! rene! / gola!… orecchio! / orecchio a me? Sta’ attenta, narice! / ma insomma, vecchia gengiva! / dito! / fica!”

Era evidente la volontà di épater le bourgeois, come scrive Di Palmo: “Vi è in questa sezione, come in tutta l’opera di Desnos, un gusto esibito per l’invettiva nei confronti dell’odiato perbenismo borghese, modulato contro tutte le regole, fintanto quelle grammaticali e sintattiche”. Intento ribadito anche nelle prose della stessa raccolta, caratterizzate da un’impronta più sentimentale, ovviamente mai retorica, e semmai ironica e auto-ironica.

“Se tu sapessi. Lontano da me e forse ancora più dal fatto di ignorarmi e ignorarmi ancora. Lontano da me perché senza dubbio tu non mi ami o, il che è lo stesso, io non ne dubiti”, “Ascoltate, ne ho abbastanza del pittoresco e dei colori e del fascino. Amo l’amore, la sua tenerezza, la sua crudeltà”, “Ho perso il rimorso del male passato negli anni. Mi sono guadagnato la simpatia dei pesci… Ho perso ancora la gloria che disprezzo. Ho perso tutto tranne l’amore, l’amore dell’amore, l’amore delle alghe, l’amore della regina delle catastrofi”.

Nelle prove poetiche successive al 1930, Desnos tornò a forme più tradizionali, non trascurando il verso in rima e il sonetto, compromettendosi maggiormente con tematiche amorose e, soprattutto, etico-sociali. Dal ciclo di liriche dedicate alla sua donna, Youki, ai versi per l’infanzia, alle poesie più direttamente erotiche, a quelle destinate a essere musicate, fino ai riferimenti classici e mitologici, la produzione dell’autore parigino si indirizzò a una maggiore fruibilità, e a una tensione più radicalmente morale. Alcune composizioni degli anni di guerra, firmate con uno pseudonimo, inneggiavano al pacifismo e alla ribellione contro l’invasore tedesco.

Fortunes, uscita nel 1942 sempre da Gallimard, e i versi pubblicati postumi di Destinée arbitraire si servivano di uno humour amaro per stigmatizzare il conformismo culturale dei contemporanei, sempre in omaggio all’ideale di autonomia e indipendenza perseguito in tutta l’esistenza: “In definitiva non è la poesia che deve essere libera, ma il poeta”, scrisse in un’appassionata lettera a Youki, il 7 gennaio 1945, dopo il suo arresto. L’ultima lirica del volume, L’epitaffio, traccia un autoritratto consapevolmente orgoglioso di sé: “Ho vissuto in questo tempo e dopo mille anni / Sono morto. Vivevo, non decaduto ma braccato. / Ogni libertà umana essendo imprigionata / Ero libero tra schiavi mascherati”.

Robert Desnos è sepolto al cimitero di Montparnasse a Parigi; con il suo fervente anelito alla libertà è rimasto negli anni un esempio coraggioso di anticonformismo, autenticità e opposizione a ogni rigidità intellettuale e a qualsiasi compromesso politico.

 

© Riproduzione riservata            «Gli Stati Generali», 27 settembre 2021