MASSIMO DIANA, UNDE MALUM? – MIMESIS, MILANO-UDINE 2022

Massimo Diana, filosofo e psicanalista, nelle sue numerose pubblicazioni si è interessato della relazione reciproca tra religioni, pedagogia, psicologie del profondo e filosofie. Il suo ultimo lavoro, Unde malum?, indaga l’enigma della distruttività umana, come suggerisce il sottotitolo del volume da poco uscito presso le edizioni Mimesis.

Prendendo spunto dall’interrogativo metafisico di S. Agostino, Diana esplora, alla luce dei più efferati episodi di violenza succedutisi nella storia dell’umanità, e in particolare nell’arco dell’ultimo secolo, origini-motivazioni-conseguenze delle scelte consapevoli di distruzione messe in atto da individui, popoli e nazioni nei confronti di altri individui, gruppi etnici o religiosi, definiti nemici. Basandosi su documenti e statistiche aggiornate, l’autore evidenzia come dall’inizio del ’900 fino ai giorni nostri gli abissi del Male abbiano sfiorato la catastrofe, avvicinandosi alla soglia del baratro.

Il raffronto tra il numero delle vittime di guerra nell’800 e nei cento anni successivi è sconvolgente: circa 7 milioni nel XIX secolo, 180 milioni nel XX, conteggiando i caduti militari e civili delle due guerre mondiali, i genocidi, le rivoluzioni, le carestie ed epidemie conseguenti ai vari conflitti. Il coinvolgimento popolare nelle vicende belliche novecentesche è derivato non solo da un contagioso entusiasmo paranoico, da una forte mobilitazione propagandistica e dalla diffusione capillare dei mezzi di mobilitazione di massa, ma anche dall’abilità persuasoria di feroci capi di stato, militari, dittatori, in grado di utilizzare – attraverso il terrore e le minacce – abili tattiche manipolatorie, istigatrici di fanatismi ideologici producenti l’isterico accecamento dei singoli e la loro ottusa ubbidienza.

Diana analizza le personalità di Hitler, Stalin e altri criminali attraverso la ricostruzione delle loro infanzie, che mostrano caratteristiche simili, con madri formalmente protettive ma poco affettive, padri violenti e soverchiatori che li resero inidonei a creare relazioni solidali ed empatiche, spingendoli in spirali di insicurezza, timore e desiderio di rivalsa e sopraffazione. Ovviamente, nessun evento storico può essere spiegato esclusivamente in termini psicologici: “non è sufficiente uno psicopatico paranoico per scatenare l’inferno e provocare una catastrofe”. L’inasprirsi di qualsiasi crisi sociale ed economica diventa terreno fertile alla trasmissione nella mente collettiva di concetti e comportamenti prevaricatori, producendo una regressione della condotta individuale e la tendenza all’aggregazione, in una sorta di infezione psichica dilagante.

Il male, l’istinto devastatore, la ferocia hanno contraddistinto le azioni degli uomini dal sorgere della civiltà: ce lo racconta la Bibbia, con il fratricidio di Caino, i soprusi narrati in Genesi, la strage degli innocenti compiuta da Erode. Ce lo raccontano tutti i miti e le saghe nordiche e orientali, a dimostrazione di quanto la brutalità, le prepotenze, le angherie immotivate abbiano da sempre trovato spazio nella psiche degli esseri umani.

Ma la tesi veementemente sostenuta da Massimo Diana, attraverso un’approfondita analisi delle fonti scientifiche e letterarie, è che violenza e distruttività (verso se stessi e gli altri) siano reattive e non innate, dovute in massima parte a carenze o anomalie di cure adeguate ricevute nella primissima infanzia. Alla base dei comportamenti aggressivi si trova in genere il disturbo paranoico, definito come psicosi caratterizzata da deliri sistematici, manifestanti sospettosità, diffidenza, isolamento, sindrome di accerchiamento. Tale affezione agisce anche a livello sociale, in quanto contagiosa, inconsapevole di sé, incapace di autocritica e di assunzione di responsabilità. L’intera storia umana, contraddistinta da un’interminabile sequenza di vessazioni e crudeltà, può essere interpretata attraverso la chiave di lettura della paranoia, che nel suo esternarsi utilizza i meccanismi della pseudospeciazione (la difesa irrazionale e accanita della propria specie, o razza, o nazione, ritenuta superiore alle altre), dell’individuazione e del conseguente annientamento di un capro espiatorio.

Scaricando le proprie colpe e implicazioni illegittime all’esterno e su altri soggetti, il potere paranoico riesce abilmente a far regredire la collettività nella lucida follia del branco.

Nel terzo, vibrante e appassionato capitolo del libro, Massimo Diana individua le radici del Male nel diniego dell’infanzia: “La distruttività e la violenza gratuita e intraspecifica non sono qualcosa di innato, di tristemente caratteristico della specie umana, perché sono reattive: sono infatti la reazione della psiche all’infanzia negata, non riconosciuta, abusata, violentata, perseguitata, sacrificata. Sono la reazione della psiche a un trauma, inteso in una duplice accezione: come evento particolare nella storia biografica di alcuni individui (molti, più di quanti possiamo immaginare), e come parte integrante dell’esperienza umana, momento di passaggio ineludibile nel divenire umano… Le persone non nascono cattive ma lo diventano perché qualcun altro ha fatto loro del male… I bambini maltrattati diventeranno adulti maltrattanti… Quanto accade nell’infanzia finisce per congelare (fissazione) il vissuto traumatico e costringe a ripeterlo (coazione a ripetere) nel disperato tentativo di incontrare uno sguardo capace di comprendere e di medicare l’antica ferita”.

Nella contemporaneità si è diffusa in modo preoccupante la figura dell’“uomo senza inconscio, che non sa mettersi in relazione con i propri paesaggi interiori… che non ha avuto la possibilità di riconoscere e integrare i propri vissuti emotivi” e di conseguenza non sa sintonizzarsi sul mondo emotivo degli altri. L’uomo senza inconscio, poco accolto e non accudito amorevolmente nei primissimi anni di vita, “è estremamente vulnerabile al contagio psichico provocato da leader paranoici, e predisposto a scivolare nella logica folle del branco, nella psicologia arcaica della massa”.

Diana rivolge parole molto severe alla “pedagogia nera” in auge fino a pochi decenni fa, che induceva i genitori a usare metodi coercitivi per “addestrare” i figli, inibendo il loro naturale istinto vitale in nome di una pretesa correttezza comportamentale.

Come guarire dal malessere interiore, come rimediare alla ferita sofferta da piccoli, non riconosciuta e infine rimossa? Le due strade suggerite dall’autore sono la terapia e l’educazione. Gli adulti devono riparare il danno ricevuto nell’infanzia in modo da non trasmettere sofferenza alle generazioni future, e possono farlo solo attraverso il recupero di una relazione terapeutica che li aiuti a superare la tendenza schizo-paranoide alla proiezione/evacuazione all’esterno dei propri nodi interni irrisolti: “Solo adulti liberati e liberi saranno in grado di liberare”. Gli ultimi capitoli di questo libro “difficile” (come viene definito dallo stesso Diana nell’introduzione) sono dedicati appunto alle risposte da opporre al Male, per medicarlo, trasfigurarlo e trasformarlo in senso generativo, con l’aiuto di terapeuti e di educatori capaci di azioni non direttive, non violente, non traumatiche.

Riuscire a fare di noi stessi qualcosa di quello che Altri ci hanno reso: da essere semplici oggetti del desiderio di Altri, dobbiamo imparare a diventare soggetti autonomi, artefici del nostro destino, partendo da un processo di riscrittura della nostra infanzia (se è stata problematica o sofferta), guidati da una figura che sia “in grado di intercettare empaticamente e di curare efficacemente le ferite altrui”, ma diffidando di facili e illusorie scorciatoie proposte da sedicenti maestri spirituali.

E in quanto genitori, il primo necessario compito da porsi è quello di accogliere, ospitare, sostenere e contenere con affettuosa premura e disponibilità totale il bambino, difendendolo nella sua estrema fragilità e vulnerabilità, soprattutto nei primi due anni di vita. Trascorsi i quali si può iniziare il percorso formativo e dell’attenta correzione, che sempre devono fondarsi su sentimenti di fiducia e positività, in modo da garantire ai piccoli uno sviluppo sereno. “Se i bambini crescono in un ambiente felice, se vengono educati alla libertà, nella libertà, non covano dentro di loro alcun motivo per agire odio e violenza, non sono costretti a divenire distruttivi verso se stessi, verso gli altri o verso entrambi… Questa è la rivoluzione che ci attende se vogliamo un futuro migliore o, più semplicemente, un futuro”.

© Riproduzione riservata        «Il Pickwick», 2 giugno 2022