LUIGI EPICOCO, PER CUSTODIRE IL FUOCO. VADEMECUM DOPO L’APOCALISSE

EINAUDI, TORINO 2023

 

L’epigrafe tratta dal Vangelo di Luca, 12 49, “Sono venuto ad appiccare un fuoco sulla terra, e come vorrei che fosse già divampato!”, bene riassume l’appassionata sollecitazione che Luigi Epicoco suggerisce nel suo saggio einaudiano Per custodire il fuoco. Vademecum dopo l’Apocalisse. All’umanità di oggi manca il fuoco, che erroneamente si è sempre accostato all’immagine dell’inferno, mentre l’incandescenza, l’ardore, la luminosità della fiamma sono simboli di vita, di slancio, di passione, laddove invece è il ghiaccio che meglio rappresenta l’isterilimento di qualsiasi desiderio, l’assenza di energia, la mortificazione di ogni aspettativa.

Custodire il fuoco, non permettere che si spenga, alimentarlo, cercando nel buio una luce, nel gelo la scintilla del calore. È Dio la risposta che Epicoco (presbitero, teologo, docente alla Pontificia Università Lateranense) propone a donne e uomini disorientati, avviliti, arresi, per ritrovare entusiasmo e voglia di vivere? Forse la fede e la religione non sono l’unica via d’uscita da uno stato di precarietà e incompletezza. Il “Senso” come altro nome di Dio, l’innamoramento, la trasformazione di sé, uno scopo da raggiungere, un’esperienza capace di esprimersi in parola: tutto ciò potrebbe indurre a un cambiamento positivo. Non la preghiera consolatoria ma la ricerca inquieta, non una metafisica da indagare astrattamente, ma un Padre concreto e paradossale, che abita la terra e non il cielo, “un Dio infinito nel finito della storia. Il tutto che si riversa nel frammento. L’eterno che entra nel tempo”, nella contingenza che stiamo vivendo, qui e ora.

Si tratta essenzialmente di un capovolgimento di prospettiva, quello che l’autore di questo saggio – forse più filosofico che teologico – propone, servendosi come linea guida del romanzo La strada di Cormac McCarthy, commentato con adesione attenta e partecipe, nell’utilizzo di frequenti e illuminanti citazioni. Al testo di McCarthy si alternano pagine evangeliche, in supporto e conferma: il tradimento di Pietro narrato da Matteo, i morti resuscitati in Giovanni, Marco, Luca, e Maria Maddalena davanti al sepolcro vuoto. Ma è La strada il riferimento più importante scelto da Luigi Epicoco per illustrare la sua tesi. Il romanzo racconta il viaggio che un padre e il suo bambino intraprendono per scampare alla fine del mondo, dopo un evento apocalittico di cui non si sa nulla, trascinandosi a piedi attraverso un paesaggio disabitato, impauriti e affamati, testimoni di orrori e crudeltà, vittime del male ed essi stessi costretti a fare il male per difendersi dagli altri pochi superstiti, diventati minacciosi nemici:

“I giorni si trascinavano uno dopo l’altro, innumerevoli e innumerati. Sulla superstrada, in lontananza, lunghe file di macchine carbonizzate e arrugginite. I cerchioni nudi delle ruote su un ammasso grigio di gomma fusa e solidificata dentro anelli anneriti di fil di ferro. I cadaveri inceneriti ridotti alle dimensioni di bambini e appoggiati sulle molle scoperte dei sedili. Diecimila sogni sepolti dentro i loro cuori bruciacchiati. Andarono avanti. Percorrevano quel mondo senza vita come criceti sulla ruota. Le notti immobili come la morte, e più nere ancora. Un freddo. Parlavano poco o niente. L’uomo tossiva in continuazione e il bambino lo guardava sputare sangue. Si trascinavano oltre. Lerci, cenciosi, senza speranza. L’uomo si fermava e si appoggiava al carrello e il bambino proseguiva, poi anche lui si fermava e si girava e l’uomo alzava gli occhi piangenti e lo vedeva lì sulla strada voltato a guardarlo da qualche futuro impensabile, radioso come un tabernacolo in quella desolazione”.

Nel suo grigio abbandono, il futuro impensabile magistralmente narrato da McCarthy diventa per Luigi Episcopo espressione della mancanza di prospettive patita dall’uomo contemporaneo, nel proprio mondo interiore desertificato: può essere riscattata unicamente da un bambino “radioso come un tabernacolo”, che continuerà a vivere proiettandosi nel domani, unica possibilità di salvezza e redenzione.

Le vie di fuga cercate dagli adulti sono modi “per addomesticare la disperazione”: il materialismo, l’individualismo, la famiglia, la carriera, persino la ritualità religiosa si rivelano alibi vuoti, finalità illusorie. Solo l’attraversamento dell’inferno quotidiano e il suo superamento può permettere la riscoperta del desiderio, e condurre alla felicità. “Quando siamo infelici possiamo essere manovrati dagli altri, dal sistema, dalla cultura dominante, dalle ideologie, dalla dittatura delle cose. Le persone felici sono insopportabili perché non sono manovrabili. Sono radicalmente libere, e la radice della loro libertà risiede appunto nel fuoco dei loro desideri… Non si può essere felici mantenendo contenti gli altri. A un certo punto bisogna trovare il coraggio di deludere perché si ha diritto a diventare se stessi, a essere difformi dal resto del mondo… Ecco allora la sequenza del fuoco: desiderare la felicità; a partire da questo desiderio coltivare una passione. La passione può generare conflitto; ma essa va difesa e alimentata perché è lì il fuoco”.

 

© Riproduzione riservata              «La Poesia e lo Spirito», 25 settembre 2023