CHIARA FRUGONI, PARADISO VISTA INFERNO – IL MULINO, BOLOGNA 2019

La più nota e importante medievista italiana, Chiara Frugoni ‒ per anni titolare della cattedra di Storia Medievale nelle Università di Pisa e di Roma Tor Vergata ‒ ha sempre applicato alla sua ricerca (il cui fulcro verte intorno alla figura di Francesco d’Assisi) un metodo di lavoro in grado di tenere nello stesso conto testimonianze scritte e figurative, con la convinzione che “l’immagine parli”.

Anche in questo splendido volume edito da Il Mulino, Paradiso vista inferno, che reca come sottotitolo la dicitura Buon governo e tirannide nel Medioevo di Ambrogio Lorenzetti, il repertorio iconografico a colori assume un rilievo preponderante. Gli affreschi di Ambrogio Lorenzetti (Siena, 1290-1348) che decorano la Sala dei Nove nel Palazzo Pubblico di Siena, sono riprodotti nella loro interezza e nei particolari più significativi, e confrontati sia con le opere scultoree classiche da cui hanno tratto ispirazione, sia con l’arte coeva e posteriore (da Giotto a Simone Martini, Niccolò Gerini, Taddeo di Bartolo fino a Johann Ramboux).

Chiara Frugoni li commenta inquadrandoli storicamente e ideologicamente nel periodo in cui sono stati commissionati e dipinti, tra il 1338 e il 1339. Dispiegati su tre pareti, gli affreschi rappresentano le Allegorie del Buono e Cattivo Governo e dei loro Effetti in Città e in Campagna, esibendo una complessa simbologia che l’autrice del volume interpreta non solo dal punto di vista artistico, bensì soprattutto svelandone motivazioni e finalità politiche. Sulla parete più luminosa a nord è illustrata l’Allegoria del Buon Governo, in quella adiacente a est i benefici risultati di una corretta amministrazione nella città e nel contado, a ovest l’Allegoria del Cattivo Governo, con i suoi esiti nefasti. Il senso delle pitture è chiarito da una canzone posta a lato e sotto di esse, scritta in volgare per rendere eloquentemente accessibile ai visitatori il messaggio veicolato. La parete di fondo ritrae gli esponenti del potere saggio e provvidente (cittadini, soldati, funzionari), sui cui vegliano le figure della Sapienza e della Giustizia, le tre Virtù teologali e le quattro cardinali, accompagnate da allusioni mitologiche e bibliche. A destra è raffigurata la vita attiva e serena della città di Siena, con il Duomo e le mura, oltre le quali scorre placida e laboriosa l’esistenza dei contadini nei campi, raccontata con un’attenzione particolare ai minimi dettagli dell’esistenza quotidiana. A sinistra si concentra la visione negativa e demoniaca della Tirannide attorniata da sei Vizi, artefici di violenza, morte, devastazione, anarchia.

Il messaggio che l’artista volle affidare alla sua pittura era evidentemente di propaganda, e Chiara Frugoni lo ribadisce esplicitamente nel prologo: “Nel Medioevo il diritto ad essere rappresentati spettava abitualmente a protagonisti della storia della Chiesa oppure a laici di primo piano di cui conosciamo il nome e i fatti. La grande novità degli affreschi di Ambrogio Lorenzetti è che i rappresentati sono invece tutti anonimi, persone comuni che svolgono occupazioni comuni. Proprio uomini e donne senza storia per la prima volta sono i protagonisti ai quali è affidato il compito di illustrare la ridente vita assicurata dall’ottimo governo dei Nove, l’unico possibile. «Ridente»? Sappiamo, leggendo fonti, cronache, petizioni, trattati e poesie, che la realtà del tempo era ben diversa da quella affrescata: carestie, rivolte, violenza urbana, corruzione”. Le minuziose, estese e dottissime ricerche dell’autrice si sono basate su testimonianze contemporanee o di poco successive alla stesura dei dipinti: documenti di archivio, cronache locali, atti notarili, prediche e sermoni religiosi, trattati di arte.

All’epoca in cui i Nove (autorità municipale formata da esponenti dell’alta borghesia) commissionarono gli affreschi del Palazzo Pubblico, Siena viveva un periodo di grande inquietudine sociale, causata dalle lotte fra le famiglie più potenti, dal proliferare dell’usura e della corruzione dei costumi, dallo sfruttamento economico dei banchieri sugli artigiani e i commercianti, dallo stato di abbandono rurale e dalle continue risse tra i cittadini. Lorenzetti si incaricò di mostrare al più vasto pubblico possibile (in un’epoca in cui non esistevano i mezzi di comunicazione odierni) che il governo in carica era il migliore tra tutti, e che qualsiasi differente alternativa avrebbe provocato solo impoverimento e disordine. Il fine della sua opera doveva essere quello di sedare il malcontento e di rassicurare gli animi degli abitanti, esibendo attraverso scene urbane e agricole animate da personaggi operosi e felici, tutta l’opulenza e la produttività di un’intera comunità solidale nel cooperare al benessere collettivo, indicando altresì al pubblico, nell’affresco a ovest della sala, cupo e minaccioso, quali deleteri risultati sarebbero derivati dall’egemonia di un potere tirannico.

Firmando il suo capolavoro, Ambrogio era fieramente consapevole di aver tradotto visivamente le istanze politiche, giuridiche e religiose del ceto dominante in Siena, sulle basi filosofiche e dottrinali espresse da Aristotele e San Tommaso, subordinanti l’interesse privato a quello comunitario. E Chiara Frugoni, nel firmare a sua volta questo denso e autorevole commento all’opera del pittore senese, ha voluto sottolineare quanto sia fondamentale anche nei nostri tormentosi tempi attuali anteporre l’interesse pubblico, la giustizia e la pace al profitto individuale, alla sopraffazione, alla discordia. “Non so dire meglio che con le parole di Jean-Pierre Vernant le ragioni per le quali ho scritto questo libro: «noi poniamo all’oggetto dei nostri studi le domande che il presente pone a noi. È per questo che esiste una storia degli avvenimenti storici: ogni periodo li vede in maniera differente, perché si modifica l’orizzonte di riflessione»”.

 

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https://www.sololibri.net/Paradiso-vista-inferno-Frugoni.html             14 ottobre 2019