LORENZO GAFFORINI, MILLIHELLEN – GATTOMERLINO, ROMA 2023

Nella nota critica a chiusura del breve romanzo di Lorenzo Gafforini, l’editrice Piera Mattei mette in luce due particolarità estremamente importanti del testo e del prodotto-libro: la metaletterarietà della scrittura e l’indovinata adesione del ritratto di copertina (una fotografia di Chiara Romanini) a spirito e trama del narrato.

Millihellen. Un incontro non segna l’esordio del giovane autore bresciano, che ha già pubblicato altri racconti e poesie: si presenta infatti come una prova matura, meditata nella costruzione del contenuto e calibrata nella resa formale. Diviso in due sezioni (Il malato di venerdì e Il lamento della bestia azzurra) scandite ciascuna in 50 brevi paragrafi, il volume racconta la tormentosa attrazione fisica e mentale che l’io narrante patisce per una misteriosa figura femminile.

Chi scrive rappresenta sé stesso come “schivo, diffidente”, in preda a una pena d’amore che lo tiene lontano dal frequentare il consorzio umano. Vede Helena per la prima volta dipinta sul quadro di un amico, e alla sua figura dedica alcune poesie. La ritrova dopo un anno, un venerdì sera di fine gennaio, ed entrambi si studiano con trepidazione nelle due ore passate a bere birra in un pub. Lei è molto alta, ha piedi piccoli e occhi azzurrissimi: non bella, ma eccitante. È ragioniera e lavora nell’azienda di famiglia: si mostra indipendente e curiosa. Lui scrive, e cura un aggiornato profilo su Instagram di articoli, commenti, poesie, foto. Si spostano nell’appartamentino di lui, bevono ancora e parlano molto. Lui esibisce narcisisticamente la propria cultura citando gli scrittori più amati, lei confessa con candida spudoratezza la sua passione per il corpo, le centinaia di amanti avuti e la soddisfazione che prova nel dare godimento a un uomo.

Il rapporto sessuale a cui i due si abbandonano viene descritto con puntuale meticolosità, insieme a un malcelato fastidio. Helena si fa riaccompagnare a casa, e promette di rifarsi viva passati cinque giorni. In realtà sparisce, e il romanzo assume una dimensione del tutto diversa, meno descrittiva, più meditata e sospesa. Un anno intero scorre veloce e monotono nella vita del protagonista, mentre Helena scompare dal suo orizzonte materiale, pur campeggiando imperiosa e ossessiva nelle fantasie mentali. Non bastano un soggiorno a Venezia, l’ambita promozione professionale, il vagheggiamento di future pubblicazioni gratificanti e la nostalgia suscitata da ricordi dell’infanzia, a distrarlo dai pensieri deliranti che lo invadono.

Accanito nell’esaminare i propri sentimenti, chi scrive è ben consapevole della irreale realtà del sentimento che lo assedia: “Non è amore, è qualcosa di ributtante e viscerale”, e oscilla tra l’aspirazione a una fredda e liberatoria razionalità da una parte, e l’abbandono al sogno e al desiderio: “Cerco Helena nel disordine calibrato e cosciente”.

Trova scampo nella frequentazione assidua della biblioteca cittadina, impegnandosi nella traduzione di un dramma tedesco del primo Nocecento: “vivo di ricerche, di messaggi subliminali dimenticati in opere catalogate e poi perdute”. Rimpiange Helena, l’approfondimento di un rapporto che avrebbe potuto trasformarsi in una relazione stabile e profonda, ma si fa irretire dai profili delle studentesse che gli siedono accanto, e in ognuna di loro vede trasfigurata l’immagine delle madonne dell’arte medievale: “Vivo nella certezza che Helena possa continuare a fuggirmi, ma anche a manifestarsi magnanima sotto altri nomi. Credo nella sua reincarnazione, questa volta più pura, audace. Un’astrusa metempsicosi. Quella che ho visto io, vissuto e toccato, è solo un’ombra di quello che potrebbe realmente essere”.

L’utopia amorosa a un tratto si svela nella sua mendacità, probabile pretesto di ispirazione letteraria “E se la mia fosse una scrittura meramente riepilogativa, senza il sano talento di trascendere il fatto? Ho avuto l’estremo bisogno di creare, per poi lasciarmi andare alle paure, alle suggestioni”.

La Helena conosciuta in una notte lontana si sovrappone ad altre ben più illustri Elene della poesia mondiale, da quella euripidea molto diversa dalla versione omerica, a quella di Marlowe, che le dedicò versi famosi: “Fu questo il viso che mille navi fece salpar?”, alla più recente citazione della poeta inglese Anne Carson. Giustamente quindi Piera Mattei nella postfazione parla per questo romanzo di metaletterarietà, aggiungendo ai riferimenti accennati da Lorenzo Gafforini, la Gradiva di Wilhelm Jensen, altra immagine fantasmatica nata dalla visione di un’opera d’arte. L’oscuro titolo del romanzo, Millihelen, viene spiegato da una nota dell’autore come derivato da un’unità di misura fittizia coniata in Inghilterra nei secoli scorsi, e poi da lui giocato riferendosi alla millesima parte della Helena umana rispetto alla Elena leggendaria, capace cioè di far salpare non mille, ma una sola nave, quella del protagonista impazzito d’amore: “Ha un tratto fosforescente il mio delirio”.

© Riproduzione riservata          SoloLibri.net        3 ottobre 2023