MIGUEL HERNANDEZ, LE TRE FERITE – EDIZIONI DELL’ASINO, ROMA 2022

Le romane Edizioni dell’Asino pubblicano, con traduzione e cura di Giovanna Calabrò, Le tre ferite, di Miguel Hernandez (Orihuela 1910-Alicante 1942), voce tra le più rappresentative della lirica spagnola novecentesca, tale da esercitare un’importante influenza sui poeti delle generazioni successive. Figlio di pastori, e pastore egli stesso fin da bambino, fu autodidatta, e riuscì ad affrancarsi da miseria e ignoranza trasferendosi a Madrid, dove si occupò di giornalismo, teatro e critica letteraria. Esordì ventitreenne con una raccolta di liriche di impianto gongoriano, mentre nelle opere successive si avvicinò al surrealismo sotto l’influenza e grazie alla frequentazione di Aleixandre e Neruda. Convinto antifranchista, nel corso della guerra civile militò tra le file repubblicane, combattendo in Andalusia ed Estremadura, e componendo poemi e drammi a sostegno della resistenza. In seguito alla vittoria falangista, nel 1942 fu condannato alla pena capitale, poi commutata in trent’anni di carcere. Nello stesso anno morì di tubercolosi nel carcere di Alicante.

In quest’ultimo volume tra quelli a lui dedicati in Italia (da Mursia, Laterza, Feltrinelli e più recentemente da Passigli, Quodlibet ed Elliot), l’intensa, affettuosa e ammirata prefazione dell’ispanista Giovanna Calabrò delinea accuratamente il suo fiero e tormentato percorso biografico, mettendone in luce gli snodi fondamentali che ne hanno segnato la produzione letteraria. Le poesie antologizzate, con testo spagnolo a fronte, provengono dalle quattro raccolte pubblicate in vita, e da una postuma: sono inoltre presenti versi occasionali, dispersi in varie riviste, o recuperati da manoscritti. La censura franchista aveva bloccato fino agli anni ’80 la produzione dell’opera omnia, in precedenza uscita solo in Argentina.

In versi amaramente autobiografici, così Hernandez definiva se stesso: “Con tre ferite io: / quella della vita, / quella della morte, / quella dell’amore”. Predominante negli argomenti trattati è appunto l’eros, appassionatamente incarnato da tre figure femminili: la moglie Josefina Manresa, madre dei suoi due figli, conosciuta nell’adolescenza; Maruja Mallo, sensuale e anticonformista pittrice madrilena; e l’intellettuale Maria Cegarra, a cui fu legato da profonda amicizia. (“Garofano di campo che richiaman le tue gambe / melagrana con la bocca squarciata di pienezza / cespuglio tremulo di rovi dai dolci denti / dove gettato io vivo // … Ancora mi fa rabbrividire il nostro primo incontro; / quando facemmo a pezzi la luna con i denti, / spingemmo il lenzuolo a un aprile di papaveri, / ci ispirava il mare”). Il sostantivo “amor” ricorre quasi settanta volte nel volume: altri termini sono ribaditi con una frequenza di poco inferiore: vida, muerte, corazón, insieme a sangre, tierra, viento.

Il legame con il paese nativo – Orihuela, nei pressi di Valencia – era da Hernandez vissuto visceralmente, così come quello con le proprie radici contadine, la “vida en el campo”, il lavoro di pastore (“poeta cabrero”, l’aveva definito con disprezzo il Generalissimo Franco), ostentato con ingenuità mista ad astuzia, sia per concentrare su di sé la curiosità degli ambienti intellettuali, sia per l’orgoglio di condividere “il mestiere di divinità pagane e di eroi biblici”, nell’appartenenza alla schiera eletta dei poeti della tradizione bucolica e della lirica amorosa del Siglo de oro: “Mi chiamo fango benché Miguel mi chiami, / fango è il mio mestiere e il mio destino / che macchia con la lingua ciò che lecca”.

I sentimenti di amicizia, come quelli filiali e paterni, sono testimoniati da versi di assoluta tenerezza, di fedele e generosa dipendenza affettiva: “Ridi piccino, / quando ti servirà / ti porterò la luna. /Allodola della mia casa, / sorridi, ridi”. Ma soprattutto la sua vicinanza alla classe degli sfruttati, dei lavoratori, lo fanno “poeta del pueblo”: “Venti del popolo mi portano, venti del popolo mi incalzano, e spargono il mio cuore e gonfiano la mia gola”, “Accostati al mio clamore / popolo del mio seme, / albero che con le radici / mi tieni prigioniero, / che qui sto io per amarti /e sto qui per difenderti / con il sangue e con la bocca / come due fucili fedeli”.

Poeta sentimentale e non cerebrale, a lui (“Miguel terrestre e aereo”), alla sua smaniosa fede politica, alla sua scrittura corposa, vibrante e visionaria, Giovanna Calabrò attribuisce un unico colore: il rosso. “Di sangue in sangue io vengo / come il mare d’onda in onda, / ho l’anima colore del papavero / e papavero sfortunato è il mio destino”.

Chi assistette alla morte di Hernandez raccontò che le sue palpebre non si abbassarono sugli occhi spalancati, quasi volessero rifiutarsi di chiudersi su un mondo che ancora attendeva il compimento della sua opera.

 

© Riproduzione riservata           «L’Indice dei Libri del Mese» n.IX, settembre 2022