GAZMEND KAPLLANI, LA STRADA SBAGLIATA – DEL VECCHIO, FIRENZE 2023

Il secondo romanzo pubblicato da Gazmend Kapllani con l’editore Del Vecchio, dopo Breve diario di frontiera del 2015, si intitola La strada sbagliata. Kapllani è uno degli scrittori albanesi di maggiore spessore internazionale: nato a Lushnje nel 1967, esiliato in Grecia nel 1991, oggi è docente universitario a Boston, e si occupa di razzismo, nazionalismi, sistemi totalitari, persecuzioni etniche, migrazioni, censure culturali e linguistiche.

Il protagonista de La strada sbagliata si chiama Karl, e torna nella città natale di Ters, in Albania, ventisette anni dopo averla lasciata. Torna per partecipare al funerale del padre, e trova il suo paese ancora più desolato e imbruttito di quando l’aveva lasciato, deturpato dalla cementificazione e dagli abusi edilizi favoriti dai governi succeduti alla caduta del comunismo. Nella piazza centrale osserva spaesato e senza alcuna simpatia i suoi concittadini: “Davanti a quei volti familiari ed estranei, agli edifici deformati della città nuova e alla città vecchia sulla collina che pareva immutata da sempre, Karl si sentiva in una terra di mezzo: straniero nella propria città, nativo in una città straniera”. Questa estraneità, non appartenenza, crisi identitaria accompagnerà il protagonista del racconto, alter ego dell’autore, nello svolgersi di tutta la narrazione, insieme al dualismo che ne investe ogni aspetto: nella struttura a due voci, distinte anche graficamente tra tondo e corsivo, nel contrapporsi di vita e morte, presente e passato, tradizione e novità, inquietudine e immobilismo. Una duplicità rappresentata soprattutto dal confronto-scontro con la figura del fratello Frederik, rimasto in patria, arroccato a un’ideologia obsoleta e a pregiudizi morali, ferito costantemente dal senso di inferiorità nei confronti di Karl, superiore a lui in età, in esperienza, cultura: “Karl aveva vissuto sotto cieli eterogenei, aveva parlato e scritto in lingue differenti, aveva amato donne di nazionalità diverse. Frederik aveva vissuto nella stessa città dove era nato, nello stesso palazzo, allo stesso piano, nella stessa casa, realizzando così quell’ideale paterno legato alla continuità delle generazioni, senza fratture, che secondo lui costituiva l’unica possibilità per diventare un uomo felice e di sani principi”. I due fratelli, che il padre insegnante comunista e convinto sostenitore del regime di Enver Hoxha aveva voluto chiamare con i nomi di Marx ed Engels, non riescono a rompere la barriera che li separa ideologicamente e affettivamente nemmeno davanti alla bara del genitore.

Karl ripercorre le vicende che l’hanno condotto a emigrare, prima in Grecia, poi in America, a partire dalla laurea discussa all’università di Tirana nel febbraio del 1991, quando la ribellione contro il governo aveva incendiato la città, negli scontri tra polizia e studenti in cui si era trovato coinvolto. La decisione successiva di procurarsi un visto falso per superare la frontiera lo aveva accomunato alla scelta di moltissimi altri albanesi, che da quell’anno decisero di espatriare in massa: “Dopo mezzo secolo di completo isolamento dal mondo, in tanti si affrettavano a lasciare il paese, come prigionieri in fuga dalle carceri o colpevoli che scappano dalla scena del crimine”. L’incontro con una donna greca più anziana di lui, Clio, la loro convivenza durata quasi vent’anni aveva fatto di Karl un uomo nuovo: “Bello, giovane, potente e fragile allo stesso tempo, desideroso di correre verso il futuro, per trovare una nuova patria, un nuovo io”. Diventato presto ad Atene un “immigrato integrato con successo”, pur continuando a lavorare come receptionist in un lussuoso hotel del centro di Atene, Karl aveva iniziato a pubblicare saggi e volumi sulla questione dell’emigrazione albanese, firmando sul suo blog una serie di denunce contro il razzismo che ben presto gli avevano attirato odio e minacce da parte dell’opinione pubblica più retriva e dei nazionalisti di Alba Dorata. Abbandonata Clio, si era concesso una serie di avventure erotiche effimere, roso da un’inquietudine che presto lo condusse a lasciare l’Europa per iniziare un’esistenza più libera, accanto a una nuova compagna, negli Stati Uniti.

Il quarto e ultimo complesso capitolo del romanzo di Kapllani sembra voler riassumere gli spunti narrativi e le riflessioni sparse nelle pagine precedenti, recuperando la descrizione delle giornate trascorse a Ters dal protagonista. Alle considerazioni di Karl sulla natura e la storia della sua città natale e sui mutamenti verificatisi nei costumi e nel linguaggio degli abitanti, fanno da contraltare i severi giudizi di Frederik sulla corruzione derivata dall’offuscamento dei valori tradizionali: “Capita che Ters soffochi, irriti e spaventi… la salvezza è il ritorno all’identità forte e al nazionalismo. Il nazionalismo non è odio per gli altri, è amore per te stesso, per la tua lingua, per la tua nazione, per le tue radici, per la tua razza. Il nazionalismo è disciplina, gerarchia, ordine, purezza, rispetto della natura umana. È il fuoco che purificherà e porterà a sé questo mondo che sta uscendo di senno…”.

Il dissidio tra i due uomini si concretizzerà intorno alla partecipazione ai funerali di una ragazza incinta uccisa dal suo amante, ricco uomo d’affari, stimato e temuto nella comunità: in Karl prevale pietà e comprensione, nel fratello, arroccato nei pregiudizi della maggioranza silenziosa, condanna e riprovazione.

 

© Riproduzione riservata          SoloLibri.net            9 settembre 2023

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

GAZMEND KAPLLANI, LA TERRA SBAGLIATA – DEL VECCHIO, FIRENZE 2023, p. 182

Trad. di Ermal Rrena e Rossella Monaco