I rami si muovono appena,

‒ docili al vento –

come a ricordare il peso

delle foglie d’estate,

della neve d’inverno:

adesso che nudi

sopportano solo memoria,

a stento speranza di verde.

E la lievissima pena

di uccelli provati dal volo.

**

Camminiamo tra gli alberi,

nel bosco.

Vedi come sono forti, più di noi.

E sicuri di sé, più di noi:

dell’albero vicino e fratello,

di quello amico.

Noi due non ci tocchiamo,

non parliamo.

Scuri e soli.

Tu davanti, io dietro.

E penso che sarebbe bello

vivere come gli alberi, forti.

Noi due distanti, assorti.

 

**

Scabra la corteccia

alla mia mano, che piano

l’accarezza: mentre lenta

scende la resina,

come colla si rapprende.

Il legno ruvido spurga

la sua linfa, segno di vita.

Attenta a non sporcarmi

le dita, lascio un pegno di me

nel ramo che si spezza.

 

**

La terra durerà sempre,

e sempre uguale. Non invecchia.

Coperta di foglie e di muschio

respira piano, sonnecchia quasi

come fosse un animale in letargo.

Noi invece cambiamo:

ogni stagione, ogni mattina

siamo diversi.

Mi dai la mano, poi mi respingi.

Ti fingi attento ai miei passi

come insegnassi a una bambina

a non cadere; dopo poco ti allontani.

Così persi tra noi,

così vicini e strani.

Passeggiamo nel bosco,

come due anziani qualsiasi.

Ci sosteniamo

con un leggero fastidio,

rughe sul viso, capelli bianchi.

Di te conosco tutto,

so che ti stanchi.

 

**

L’elegante betulla è spoglia.

Solo una foglia, esitante, resiste.

Un poco trema, appesa a un nulla;

e aspetta triste il suo ultimo volo.

 

**

Quanti anni avrà il pino

più alto del bosco?

Così saldo piantato nella terra,

senz’altro più vecchio di noi,

e più sicuro dei suoi domani.

Bianco di neve, in pace

col suo destino.

Tu appoggiato al suo tronco duro

rimani chino, riprendi fiato:

in guerra col tuo corpo stanco

mentre lui greve tace.

 

**

L’aria buona

ci riempie i polmoni,

ci sfiora le guance;

fredda penetra nei nostri giacconi

e sugli alberi

smuove le frasche.

Dalle tasche tiriamo fuori

due arance.

Mangiamo agrumi, aria,

assenza di rumori.

 

**

Nel loro silenzio è

il nostro cammino: indifferenti

al respiro opaco

che ci esce dalle labbra.

Zitte sentinelle del bosco,

non si scuotono al tonfo leggero

delle pigne cadenti,

ritte torri vegetali. Padroni

del cielo e della terra, i pini

assaporano un mite trionfo.

 

**

Il cielo non è consolante,

minaccia la pioggia, la neve.

Un velo di nebbia si tende

tra i rami dei pini, ci bagna

la faccia: ti rende distante

mentre avanzi piano

e io ti seguo, come si deve.

 

**

In questo silenzio interrotto

solo da qualche sfrigolio di frasche,

dal sordo cadere di pigne,

o dallo stormire dei rami

dell’imponente noce davanti a noi,

ascolto di sotto in su il tuo rado parlare,

la tua voce che mi sprona.

Le fa eco lontano il pigolio di un tordo.

E io vado, cammino, ti raggiungo:

così buona da baciarti la mano

senza dire niente.

 

**

Percorriamo un sentiero da altri

tante volte battuto. Raramente è piano,

sgombro di rovi, o sassi, o buche.

Camminiamo verso un traguardo lontano,

a passi brevi, lentamente.

Nuovi nello sguardo perso sul bosco.

E poi arriviamo, lievi,

con un pensiero taciuto.

 

 

 

In Il silenzio e le voci, Nomos, Busto Arsizio 2011