MARIO ANDREA RIGONI, COLLOQUI CON IL MIO DEMONE – ELLIOT, ROMA 2021

Mario Andrea Rigoni (Asiago, 1948), Professore emerito di Letteratura italiana dell’Università di Padova, studioso di Leopardi, collaboratore del «Corriere della Sera», saggista, critico, autore di racconti e di aforismi, ha pubblicato presso Elliot il suo primo volume di versi, Colloqui con il mio demone, con prefazione di Francesco Zambon. Si tratta di un libro originale, nel panorama della nostra poesia, non solo dal punto di vista formale (utilizza infatti uno stile di impianto prosastico e colloquiale, ma intessuto di stratagemmi fonetici che lo rendono musicalmente ritmico e facilmente memorizzabile), ma anche nelle scelte tematiche, sospese tra autobiografia, memoria storica, meditazione metafisica, interesse scientifico e critica sociale.

Chiarezza, esibita semplicità, amara ironia, pungente risentimento etico, compiaciuto distacco dalle mode letterarie attuali, sono gli ingredienti distintivi di questa prova di Rigoni, che in essa fa tesoro della sua decennale e riconosciuta abilità aforistica, come della profonda conoscenza dei testi dilanianti di Emile Cioran, di cui è stato traduttore e amico. A queste non comuni caratteristiche si aggiunge la riflessione malinconicamente consapevole della transitorietà del vivere, della tragica inessenzialità umana nello scorrere dei millenni e negli sconfinati abissi del cosmo. Quindi sono molte le composizioni che si interrogano sugli aspetti materiali dell’esistenza, dalla meteorologia (il vento, la nebbia) alla mineralogia (il granello di sabbia, il ciottolo, il lapislazzulo) alla storia, con una rivisitazione di personaggi illustri, antichi e moderni (Ponzio Pilato, Giulio Cesare, Marco Aurelio, Giordano Bruno, Stalin).

Se non sono dimenticati luoghi e oggetti, piante e animali (il tarassaco, merli e avvoltoi), gli amici e gli affetti più cari, la cifra caratterizzante la raccolta sembra essere la valutazione caustica e sapienziale del senso dello stare al mondo. In queste composizioni si alternano infatti il sarcasmo come arma di difesa dalla paura del niente, e la pietosa e indulgente considerazione della propria vanità, nella lotta eterna tra cielo e terra, salvezza e perdizione, speranza e delusione. La morte, soprattutto, viene citata come cieca e implacabile giustiziera, che riduce ogni individualità alla sua insignificanza: “l’addio alla carne, per andare / in un luogo da dove non puoi / chiamare più nessuno, dove nessuno / può chiamarti più, dove forse balugina / ancora qualcosa, luce di polvere / o soffio di nebbia, ma non c’è altro / e, comunque, tu non sei più tu”, “E sempre torniamo al nostro niente / rivestito di carne ora gioiosa ora dolente”.

Il demone che ci possiede non va né temuto né combattuto, piuttosto deve essere corteggiato, ammansito con intelligenza, e sopportato con saggezza: solo così lo si piò disarmare. “Ho parlato poco al mio demone / e lui a me. Ma so troppo bene che c’è. / È un furfante silenzioso quanto pericoloso”, “Stamattina, mio demone, non ti sento / e non mi stai dettando niente”.

La vita è di per sé contraddittoria, e pare dipendere più dal caso che dalla necessità: l’autore ne accetta stoicamente le conseguenze, con un laicismo scettico e sconfortato, capace comunque di una strana e briosa serenità. Di questa svagata leggerezza, accentuata dalla facilità delle rime e dalla convenzionalità del lessico, troviamo nelle pagine numerosi esempi: “Il Diavolo mi ha detto: / non ti posso risparmiare, / in compenso ti lascio cantare”, “Mi sono convertito alla vita, / adesso che è finita”, “Vivendo in estenuanti languori / non conosco che isolati furori”, “All’improvviso, voglia di ballare. / C’è poco da fare: nel bel mezzo / della disperazione, la vita / ti riprende con la sua illusione”.

Nella sua affettuosa e penetrante postfazione, Francesco Zambon rileva come la filosofia sottesa alle poesie di Rigoni abbia un’impronta stoico-gnostica, e rispecchi “la visione di un mondo e di una storia dominati da un male irriducibile e senza via d’uscita, governati da un dio perverso o indifferente”: tale demone è affrontato nei colloqui poetici  dell’autore con la “la fermezza di uno sguardo che non teme di fissare coraggiosamente il male e il dolore”.

© Riproduzione riservata        2 novembre 2021

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