ROBERTO ROVERSI, TRENTA MISERIE D’ITALIA – SIGISMUNDUS, ASCOLI PICENO 2011

Ci ritroviamo spesso coinvolti in miti e riti letterari celebranti soprattutto l’effimero, la leggerezza, il gioco linguistico: per questo una personalità di intellettuale militante quale è stato Roberto Roversi (Bologna, 1923-2012) può risultare ai più anacronistica, quando non addirittura pedantescamente didascalica.
Roversi è rimasto fedele, nella sua lunga e coerente esistenza, a un ideale di impegno etico e culturale che lo ha reso pressoché unico nel panorama delle nostre lettere.
Partigiano a vent’anni sulle montagne piemontesi, poi libraio antiquario nella sua città emiliana per più di mezzo secolo, fondatore e animatore di riviste importanti quali Officina e Rendiconti, Roversi fu poeta, critico, politico, giornalista, autore di testi di canzoni per Lucio Dalla e per gli Stadio (sue le notissime Nuvolari e Chiedi chi erano i Beatles). Pubblicò una serie notevole di libri e plaquette, schierandosi coraggiosamente contro i colossi dell’industria editoriale, con la scelta anticonformista di stampare le sue poesie in fotocopie e ciclostilati da distribuire gratuitamente, oppure attraverso i canali dell’editoria alternativa.

Il 2 giugno 2011, in occasione della Festa della Repubblica, presso la piccola casa editrice marchigiana Sigimundus è uscita la quarta parte del suo poema L’Italia sepolta sotto la neve, intitolata Trenta miserie d’Italia.
Si tratta di un poemetto in versi liberi, suddiviso in trenta sezioni, in cui l’autore esprime indignazione e dolore per lo stato attuale in cui versa l’Italia, sia in ambito politico sia in quello civile. Partendo ironicamente dallo stereotipo che decanta il nostro paese come sede di bellezze naturali e artistiche inestimabili, subito arriva alla constatazione malinconica di un presente miserevole e stigmatizzabile: «Oggi Italia è al fioco bagliore di disperse candele / piagnucolosa statua di marmo scapotizzato. /… L’Italia non esiste più l’Italia si è perduta / mucchio di carbone appena spento fra due pietre / verza strappata dal becco dei passeri vaganti / mare con ossa di delfini disseccati / certosa di vecchi scheletri cappuccini / frana scrollata dalle cime acuite di monti vicini / dentro al mare Tirreno solcato da velieri fantasmi».

A questa visione umiliante di un paese corrotto e incapace di risorgere, Roberto Roversi oppone il ricordo nostalgico della lotta partigiana e dell’impegno postbellico che lo vide protagonista entusiasta e ribelle: «Italia numero uno Italia numero trenta io c’ero. / Su montagne ferite dalla violenza del mondo / su piazze inzeppate di pietre / urlanti vendetta e canzoni / io c’ero».

Quale può essere, allora, il dovere di un intellettuale, davanti agli scandali quotidiani, alle ruberie e ai trasformismi, agli attentati, alla mafia che nemmeno eroi come Falcone e Borsellino riuscirono a vincere, al colpevole disinteresse di chi favorisce l’incuria, la cementificazione, l’inquinamento che ammorba le nostre terre? Quale il dovere del cittadino comune, oscillante tra indignazione e attesa? «Parlare continuare a parlare senza sapere come parlare / scrivere continuare a scrivere senza sapere come scrivere / pensare continuare a pensare non sapendo cosa pensare e / continuare a voler sapere senza sapere che cosa sapere».

Paralizzati dentro muri di paura e indifferenza, di incertezza e viltà, l’unica strada percorribile sembra essere il rifluire nel privato, o il rituffarsi nel «mare del ricordo» che «non ha confine mai». Nello stile quasi declamatorio tipico della poesia civile, punteggiando il tono epico e risentito dei suoi versi con inserzioni prosastiche tratte dalla stampa giornalistica o con affermazioni proverbiali e luoghi comuni, utilizzando metafore rapinose, Roberto Roversi a quasi novant’anni («ho / Italia ottantotto vipere fra i capelli») incitava ancora alla ribellione, alla non rassegnazione: «Fuoco di parole / e guerra sia». Pur consapevole che il nostro è un «Giardino dei ciliegi / diventato foresta frequentata da nani», senza più il conforto di lucidi e coraggiosi intermediari (quali Sciascia, Calvino, Pasolini, Fortini, Volponi, Vittorini), Roversi si è addormentato cinque anni fa con una flebile speranza, e una domanda rivolta all’Italia ormai orfana di illusioni: «Chi vincerà le tue battaglie? / Ancora una volta per te? / Il futuro ti aspetta…».

 

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www.sololibri.net/Trenta-miserie-Italia-Roversi.html        21 giugno 2016