GIANNI SOFRI, L’ANNO MANCANTE – IL MULINO, BOLOGNA 2021

Gianni Sofri (Staranzano, 1936), storico e saggista, considerato uno fra i maggiori studiosi italiani di Gandhi, ha dedicato un volume alla figura del noto medievista Arsenio Frugoni (1914-1970), suo docente alla Scuola Normale di Pisa negli anni ’50. Si tratta di un’affettuosa ricostruzione biografica mirata a esplorare non solo il lato pubblico dell’esistenza di un noto e stimato intellettuale, ma anche a descriverne il profilo morale e l’integrità politica, facendo luce soprattutto su un episodio rimasto a lungo oscuro, un intero anno (L’anno mancante, recita il titolo del volume) di cui Frugoni non volle mai parlare, e che Sofri ha ricostruito attraverso minuziose ricerche documentali e numerose testimonianze di parenti e amici del protagonista. Già nella descrizione fisica del maestro si avverte l’ammirazione dell’allievo per la signorilità della sua figura: “Era un uomo alto, con gli occhiali, affascinante, molto elegante non solo nel vestire, ma anche nel gestire, nel parlare, nel misurare le pause. E nell’ironia”.

Nato a Parigi da famiglia bresciana, rimasto orfano del padre a un anno, Arsenio Frugoni si era laureato in Lettere alla Scuola Normale Superiore di Pisa nel 1938, perfezionandosi in seguito a Heidelberg e insegnando per un biennio in un liceo pisano. Sposatosi nel ’39 con una compagna di scuola, Pia Chiappa, ne ebbe due figli: Chiara, oggi celebre medievista, e Giovanni. Vicedirettore dell’Istituto italiano di cultura di Vienna dal 1941 al 1943, rientrò in Italia a 29 anni e si stabilì con la famiglia in un paesino del bergamasco. All’interno di quella piccola comunità aveva apertamente manifestato “una forte estraneità al fascismo e alla sua cultura”, mantenendo saltuari rapporti con i partigiani della zona, e adattandosi a praticare lavori umili, quali il conciatore di pelli e il fabbricante di burattini, per contribuire al fabbisogno domestico.

Ma “in un giorno di maggio, o forse di giugno, del 1944, il dottor Arsenio Frugoni uscì dalla casa di Solto Collina, in provincia di Bergamo, nella quale abitava con la sua famiglia. Inforcò una bicicletta e pedalò per 125 chilometri: tanti occorreva percorrerne per scendere a Brescia e poi, da lì, raggiungere Gargnano, sul lago di Garda, dove si erano richiesti degli interpreti. Qui rimase, sia pure tornando abbastanza regolarmente a Brescia o a Solto, più o meno per un anno”.

A Gargnano, nel cuore della maggiore concentrazione di forza militare fascista e nazista, era stanziato l’Ufficio di collegamento fra l’Alto comando della Wehrmacht e la Repubblica sociale, e risiedeva Mussolini, con i parenti e i collaboratori più stretti. Quale sia stato l’effettivo ruolo svolto da Frugoni nel periodo di poco precedente alla caduta del fascismo è quanto intende verificare la ricerca di Gianni Sofri. Fu mediatore politico-militare tra la Repubblica di Salò e il Comando tedesco? Informatore segreto degli ambienti della Resistenza? Incaricato di salvare la vita a oppositori incarcerati e condannati a morte?

Assunto con la qualifica di traduttore e insegnante di italiano del Colonnello di Stato Maggiore Hans Jandl, addetto militare dell’Ambasciata, il professore era entrato in confidenza con il Capitano Otto Joos, che in una lettera spedita a Chiara Frugoni da Berlino il 26 dicembre 1994, lo definiva “uomo di cultura, di gentilezza e di franchezza”. L’ufficiale tedesco si dichiarava convinto dell’antifascismo di Frugoni, sapendo che aveva rifiutato qualsiasi incarico istituzionale all’interno della RSI, e platealmente evitava il saluto romano al passaggio di Mussolini. Era a conoscenza di come coltivasse intensi rapporti culturali e di amicizia con il cattolicesimo bresciano – in particolare con l’Oratorio della Pace dei padri Filippini, con il Liceo Calini dove insegnava lettere, con Monsignor Montini (futuro Papa Paolo VI) e con i partigiani delle Fiamme Verdi. Sempre secondo la sua testimonianza, Arsenio Frugoni aveva lasciato improvvisamente e segretamente Gargnano nell’aprile del 1945, spostandosi verso Como, dove forse ebbe parte alla cattura di Mussolini a Dongo, fatto tuttavia non comprovato.

Frugoni non fu mai iscritto al Partito Fascista Repubblicano, né venne inserito nelle liste di epurazione del dopoguerra: anzi i familiari rivelarono di avere trovato documenti relativi alla sua appartenenza a gruppi partigiani lombardi, tra cui una tessera rilasciata dal CLN di Brescia e diverse sue dichiarazioni autografe sul proprio impegno attivo nella lotta contro la dittatura.

Dopo la Liberazione, il professore preferì osservare un composto riserbo riguardo al periodo trascorso a Gargnano, evidentemente amareggiato dai silenzi, dalle titubanze e dai commenti non sempre benevoli espressi da conoscenti e colleghi, “quando alcune delle solidarietà e delle coperture che lo avevano accompagnato cedettero il campo ad altri atteggiamenti, che andavano dall’ignorare o misconoscere il suo operato fino a farlo oggetto di biasimo ipocrita”.

Pur non essendo mai entrato direttamente nell’agone politico con l’iscrizione a qualche partito, Arsenio Frugoni nel dopoguerra assunse precise e coraggiose posizioni di denuncia nei confronti di un potere accademico e giudiziario illiberale e discriminatorio. Titolare della Cattedra di Storia alla Scuola Normale di Pisa dal 1954, morì in un incidente d’auto insieme al figlio Giovanni nel 1970, lasciando un ricordo ammirato e riconoscente della sua figura umana e intellettuale.

© Riproduzione riservata            «Gli Stati Generali», 20 settembre 2021