JOSÉ TOLENTINO DE MENDONÇA, IL PAPAVERO E IL MONACO – QIQAJON, BOSE 2022

José Tolentino de Mendonça (Machico,1965) teologo e docente universitario, nel 2014 ha rappresentato il Portogallo nella Giornata Mondiale della Poesia, perché di poesia si occupa sia criticamente sia attraverso un’apprezzata produzione personale. Ha trascorso l’infanzia in Angola, dove suo padre faceva il pescatore in alcune città portuali.

Il rapporto con la natura è tra i temi principali delle sue raccolte, insieme alla riflessione filosofica sulla libertà e sul tempo come eventi dell’umano e del sovrumano, inseriti in un ambito di pensiero cristiano apertamente ecumenico. Il suo ultimo volume di versi, Il papavero e il monaco, ha tratto ispirazione da un viaggio in Giappone e dalla forma letteraria più tradizionale e nota di quel paese, l’haiku. L’haiku, che ha molti estimatori e seguaci anche in Italia (al punto che ogni anno gli si dedicano numerosi concorsi e convegni, con una vivace partecipazione di appassionati) è, come si sa, una poesia in tre versi privi di rime, che non supera le 17 sillabe, suddivise in 5/7/5 more per verso.

Nelle sue composizioni, Tolentino non si attiene rigidamente a questo schema metrico, ma rimane comunque fedele tanto a una struttura di estrema concisione, quanto alla dimensione spirituale, al richiamo evocativo, alla sensibilità pittorica tipica di tale figurazione poetica: nella premessa, afferma di essere debitore, per le sue composizioni, sia a Kerouac sia a Bashō.

Il silenzio, come intenzione di ascolto e svotamento interiore, è spesso protagonista dei versi: “Il silenzio solo raramente è vuoto / dice qualcosa / dice quel che non è”, “Il silenzio non è una forma / di riposo o sospensione / ma di resistenza”, “Silenzio: / contemplare la neve / fino a confondersi con lei”, “Impara a rinunciare / a tutto / persino al silenzio”, “Il silenzio / non è l’opposto / ma il rovescio”.

La preghiera è disposizione dell’animo, in una misura che non appartiene solo al cristianesimo, ma al sentire religioso universale, la cui espressione primaria è contemplativa, di ringraziamento e meraviglia, e i cui celebranti sono gli antichi pellegrini, i monaci di tutte le fedi: Vuoi sapere che cosa prego quando prego? / tronchi secchi, ramoscelli / recinzioni e creta rossa”, “Felice colui che bacia l’icona / con devozione totale / senza nulla chiedere”, “La vita monastica / è una forma di nudità / che non ha vergogna di sé stessa”, “La vera scienza della santità / è vivere / senza perché”, “L’estate / insegna la stessa preghiera / al papavero e al monaco”, “Il pellegrino / preferisce le scarpe / più volte riparate”.

La natura celebra la bellezza in totale gratuità: “Oggi le nuvole sembrano / monaci che prendono il tè / in silenzio”, “Cose che non lasciano traccia: il lampo nella notte / il volo degli aironi contro la neve”, “La begonia è tornata a fiorire / e la pernice ha ritrovato intatto / il proprio nido”, “Nel ramo del melo cotogno / scopro nuvole / che non avevo visto”, “Tante volte / dico alla rugiada / sono come te”.

Tra i colori di questi acquerelli poetici prevale senz’altro il bianco, nel candore della neve e dei cirri, nel vuoto della pagina che accoglie le scarne sillabe vergate in nero. Ma sono presenti anche il verde dell’erba e dei boschi, l’azzurro del cielo e dei laghi, il giallo e il rosso dei fiori.

Respiriamo qui la tranquilla serenità di chi si sa creatura simile a qualsiasi altro essere vivente, animale e vegetale, riconoscendosi inessenziale al mondo ma comunque amato da Dio; di chi desidera abbandonarsi al fluire del tempo, rinunciando a ciò che appesantisce mente e cuore: il tormento del pensiero, l’imposizione della volontà, l’afflizione della memoria, l’ansia del progetto. “Tutto è effimero: / ieri ascoltavo la tua / voce oggi solo il vento”.

Nella sua ammirata e intensa prefazione, l’italianista Lina Bolzoni così commenta queste pagine: “È un libro fascinoso e perturbante. Ci porta lontano, tra i giunchi e i crisantemi del Giappone e insieme scava nella nostra interiorità, ci provoca con le sue domande, con i suoi rovesciamenti di prospettiva, ci incanta con la magia del verso, con la danza turbinosa dei punti di vista”.

Oltre a essere poeta, José Tolentino de Mendonça è Cardinale della Curia Romana dal 2019.

 

© Riproduzione riservata          «Gli Stati Generali», 23 dicembre 2022