CARLOTTA VAGNOLI, POVERINE – EINAUDI, TORINO 2021 (ebook)

Come non si racconta un femminicidio, è il sarcastico sottotitolo dell’ebook che Carlotta Vagnoli ha recentemente pubblicato con Einaudi: Poverine. Classe 1987, fiorentina, Vagnoli ha collaborato con i magazine GQ e Playboy; sex columnist e scrittrice, utilizza le piattaforme social per fare divulgazione sui temi della parità, del consenso e della violenza di genere. Con stile asciutto e determinato, lancia il suo j’accuse verso gli organi di stampa nazionali, quando riferiscono i femminicidi che avvengono quasi quotidianamente nel nostro paese con farisaico pietismo, se non addirittura con colpevoli censure e omissioni, scegliendo spesso punti di vista parziali, ricorrendo a fonti non sempre attendibili, ribadendo cliché scontati e obsoleti, ma soprattutto utilizzando una terminologia fuorviante e semplificatoria.

Attraverso un suo personale percorso di ricerca, l’autrice analizza la struttura narrativa di articoli, titoli e documentazioni fotografiche riguardanti gli omicidi di donne, spesso basati su repertori retorici di impianto fiabesco, in cui realtà e fantasia finiscono per sovrapporsi. In generale, nei giornali prevale la descrizione morbosa o romanzata dell’assassino, ridotto frequentemente alla figura del folle ottenebrato dalla gelosia o dal troppo amore, portato a delinquere a causa di una situazione familiare depauperata e violenta. Il male viene stereotipizzato: “I motivi ricorrenti e il profilo psicologico dei personaggi delle favole tradizionali, traslando di storia in storia, dopo un po’ diventano elementi ripetitivi e riconoscibili. I cattivi si tramutano puntualmente in maschere teatrali, personaggi da commedia riproposti all’infinito… gli schemi dell’universo favolistico vengano spesso importati nella realtà per poter giustificare i comportamenti umani che ci rifiutiamo di imputare ai nostri simili”. La vittima invece (ragazzina, donna, fidanzata, moglie, madre, sorella) interessa meno, le viene negata l’attenzione anche da morta. Se va bene, “la reazione unanime è sempre quella di un composto, sommesso, quasi imbarazzato: ‘poverina’”. Poverina soprattutto quando l’uccisa ha i caratteri della giovane bella, seria, decisa a non concedersi sessualmente. Altrimenti, scatta l’accusa: se l’è cercata, non ha saputo o voluto difendersi, ha tradito, provocato, umiliato, esasperato. Per l’omicida si cercano attenuanti, per la vittima colpe o imprudenze.

L’autrice fa riferimento ad alcuni recenti e crudeli femminicidi: quelli di Elisa Pomarelli, Chiara Ugolini, Barbara Gargano, Aurelia Laurenti, Jennifer Sterlecchini, Maryna Novozhylova, in cui al “mostro” si è attribuito un movente passionale o un raptus sessuale per legittimarne la brutalità, annullandone ogni responsabilità sociale e culturale. In tale maniera si occultano i perversi meccanismi determinati da millenni di dominio patriarcale che hanno concorso non solo a perdonare con indulgenza l’abuso maschile, ma anche a indurre le donne a una pericolosa romanticizzazione della violenza, a una sua rassegnata o impaurita accettazione. Davanti a “uomini cresciuti nella cultura sessista fondata sul possesso e sulla prevaricazione” spesso anche le forze dell’ordine appaiono conniventi, e i parenti dell’assassino sono indotti a discolpare l’atto efferato.

Carlotta Vagnoli propone un decalogo deontologico cui i media dovrebbero affidarsi nelle cronache dei femminicidi: evitare il sensazionalismo, la morbosità nella descrizione dei particolari, la pornografia del dolore, la colpevolizzazione della vittima, l’incoraggiamento di qualsiasi emulazione. Si dovrebbe invece assicurare massima attenzione alla terminologia, ai contenuti e alle immagini divulgate, affidandosi a fonti certe, imparziali e precise e citando più spesso i database ufficiali sui fenomeni di violenza di genere. I femminicidi non vanno raccontati dal punto di vista del colpevole, ma partendo da chi subisce la violenza, nel rispetto solidale e convinto della sua persona: perché è la vittima che va tutelata, non il carnefice.

 

© Riproduzione riservata          «Gli Stati Generali», 7 gennaio 2021