Intervista ad Alida Airaghi, in libreria con Consacrazione dell’istanteAlida Airaghi è nata a Verona nel 1953 e risiede a Garda. Dopo la laurea in Lettere classiche a Milano, è vissuta e ha insegnato a Zurigo per il Ministero degli Affari Esteri dal 1978 al 1992.
È vero: ho pubblicato diversi libri di poesia, dal 1984 a oggi, e alcuni di narrativa, più moltissime recensioni. Questo ultimo volume è stato meditato e rielaborato nell’arco di dieci anni. La poesia, rispetto ad altre espressioni letterarie, è di per sé concisa, stringente, condensata. Dovrebbe tendere a ottenere il massimo di significato con il minimo possibile di parole (come hanno scritto in tanti, da Pound a Ungaretti a Simone Weil), caricando di sensi molteplici anche un solo termine. Deve essere evocativa, come suono e come pensiero: mentre la prosa tende a spiegare e a spiegarsi.
Non ho mai fatto una presentazione di un mio libro, né una lettura dei miei versi in pubblico. Non partecipo a festival, o a premi letterari, né ho mai risposto a interviste radiofoniche, per una mia reale difficoltà emotiva ad affrontare qualsiasi evento che comporti un rapporto diretto con più persone. Immagino che le mie esitazioni espressive creerebbero imbarazzo in chi mi ascolta. Meglio evitare…
La poesia non serve a nulla, nell’immediato, non ha e non dovrebbe avere scopi concreti di convinzione, proselitismo, o porsi obiettivi di successo. È semplicemente una proposta fatta a chi la voglia accogliere: l’offerta di una sensazione, di una riflessione, scritta seguendo regole formali, di metrica, ritmo, musicalità, possibilmente con un certo spessore di originalità nel contenuto.
Credo di aver usato questo aggettivo riferendomi al dolore. Sono convinta che un grande dolore, e forse anche un grande amore, non possa essere redimibile, giustificabile, riscattabile. Deve essere accettato, persino nella sua inspiegabile, irragionevole sofferenza.
Tutti hanno diritto di scrivere, e se vogliono, di pubblicare. Nessuno però può pretendere di essere apprezzato, o premiato, indipendentemente dalla qualità della sua scrittura.
Proprio grazie alla sua gratuità, alla sua inutilità. Oggi tutto ha un prezzo, una funzione, serve a qualcosa. Lasciamo che almeno la poesia non serva a niente, non abbia uno scopo effettivo. Come un bel paesaggio, una parola innocua e gentile, una sinfonia o un brano di jazz, un balletto, un dipinto.
Ho intitolato il libro Consacrazione dell’istante proprio perché penso che dobbiamo saper godere, all’interno di una giornata, della meraviglia che ci viene offerta anche da un solo istante rivelatore. Tutto è effimero e transeunte, ma ogni attimo è prezioso. L’attenzione al momento che si vive è un atteggiamento profondamente religioso. Ho avuto un’infanzia e un’adolescenza quasi mistica, e anche se oggi non sono più credente, dedico molto tempo alla lettura e alla meditazione dei testi sacri. Le ultime due sezioni del volume, Nominare gli dei e Symbolum, sono dedicate all’attesa di qualche possibile intervento divino capace di salvare il mondo, e alle parole che accompagnano l’Elevazione Eucaristica, lette in un acrostico. Alcuni amici presbiteri mi hanno comunicato la loro commozione.
Ricevo libri sia da editori sia da autori, con la richiesta di occuparmene. Ho cominciato a scrivere recensioni a ventidue anni, ora ne ho quasi settanta e continuo a farlo, spero con la giusta considerazione e il dovuto rispetto verso chi scrive. Mi vanto di non aver mai ricevuto un compenso economico per questa mia attività critica. Sono addolorata quando mi capita di venire aggredita con offese, anche molto volgari, da un autore che non si ritenga valutato e compreso abbastanza. Penso sia giusto incoraggiare i più giovani, gli esordienti, ma anche esercitare il diritto al rifiuto, qualora il testo non sia convincente.
Jovanotti, Ligabue, Giò Evan, Rupi Kaur, Francesco Sole, Guido Catalano hanno tutto il diritto di pubblicare quello che vogliono, con un’operazione di mercato che sia fruttuosa per loro e per gli editori. Non penso si ritengano poeti da Nobel, e se il pubblico li legge significa che li trova stimolanti. Anche una canzonetta da hit parade estiva va bene se aiuta a stare meglio. Da ragazza, sono stati i cantautori italiani ad avvicinarmi alla poesia “seria”.
Né io né lei siamo Gianfranco Contini o Harold Bloom, e non pretendiamo di esserlo, suppongo. Leggiamo libri e ne scriviamo perché ci piace farlo, e in qualche modo ci gratifica, senza altre oscure motivazioni. L’importante è lavorare con onestà e impegno: lo si deve agli autori, ai lettori e alle sedi presso cui pubblichiamo.
Sì, leggo molta poesia. Tutto il ’900, italiano e straniero. Eliot, Rilke, Montale, la linea lombarda, Zanzotto, la neoavanguardia, e i più giovani. Mi sembra giusto e importante riproporre nei miei articoli nomi dimenticati (Sinisgalli, Risi, Benzoni, Sovente, Romagnoli, Cattafi…). Nel libro ho reso omaggio a Carlo Betocchi, poeta generoso e delicato. Studio anche manuali di critica testuale, di composizione del verso: presumo sia un dovere per chi fa poesia. © Riproduzione riservata 7 giugno 2022 SoloLibri.net › Intervista-ad-Alida-Airaghi-Consacrazione-istante
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