Mostra: 21 - 30 of 72 RISULTATI
INTERVISTE

CASETTA

SIMONE CASETTA E LA POESIA

 


Simone Casetta è nato a Milano nel 1961, e ha iniziato giovanissimo a lavorare
come assistente presso lo studio e nella camera oscura dei fotografi Luciano
Ferri e Gianni Greguoli. Più avanti, ha prestato assistenza anche presso altri
fotografi di moda e pubblicità. Il lavoro indipendente è iniziato nel 1980, con
incarichi per la stampa periodica e per aziende private. Dall’inizio degli anni
’90 la sua attività si è concentrata sul reportage sociale, il ritratto e sulla ricerca
personale, con la produzione di numerose serie di immagini realizzate in
Europa, Romania, Sudan, Ruanda, Zambia, Somalia, Ciad, Kenya, Tanzania,
Marocco, Pakistan, Cambogia, Argentina, Costa Rica, Nicaragua. Le
problematiche legate alla ineguale distribuzione delle risorse alimentari sono il
tema che, dalla metà degli anni novanta in poi, ha costituito il filo conduttore
dei suoi viaggi. Attualmente affianca la produzione di lavori commissionati a
progetti di mostre anche a carattere multi-mediale.
Nel 2010 ha fondato il Conservatorio della Fotografia, centro di cultura
fotografica pre-digitale impegnato nella pratica delle tradizionali tecniche di
stampa dirette da negativo. Il Conservatorio forma giovani collaboratori e offre
servizi di stampa e sviluppo a fotografi, artisti, archivi storici e Istituzioni.
Dal 2007 insegna fotografia presso l’Istituto Superiore per le Industrie
Artistiche ISIA di Urbino, al biennio Magistrale di Grafica Editoriale.

• Buongiorno Simone, fotografo e amante della poesia. Nel 2010 lei ha dato
avvio alla singolare iniziativa di un Registro fotografico dei poeti di lingua
italiana. Quanti poeti ha ritratto, e di quali ritiene di essere riuscito a catturare
più intensamente la sensibilità artistica?

Buongiorno a lei. Ho iniziato a ritrarre i poeti un po’ per caso e mi sono trovato in
un’impresa decisamente più grande delle mie possibilità. Dopo dodici anni di lavoro
e 150 ritratti realizzati in tutta Italia mi sono dovuto arrendere e credo che non
arriverò a completare questo archivio. Le fotografie sono generalmente fatte a casa
del poeta, o in luoghi che per il poeta sono casa. Non ho una classifica di intensità
riguardo al risultato. Ogni ritratto testimonia di un incontro e si può dire riuscito nella
misura in cui si è instaurata un’intimità condivisa, più o meno forte. Chi avrà
l’occasione di vedere i poeti, nelle fotografie che ho fatto, potrà forse rispondere
meglio di me in termini di maggiore o minore intensità percepibile.
Questo viaggio tra persone che ricercano, ricche di una sensibilità coltivata e attenta,
è stato immancabilmente avvincente e ogni incontro è stato unico e importante. Non
saprei mettere insieme una graduatoria, né delle preferenze. Questo non vuol dire che
non ci siano stati incontri dalla maggiore o minore corrispondenza.

• Immagino che prima di ritrarre i poeti, senta l’esigenza di leggerne almeno in
parte la produzione. Dopo averli conosciuti di persona, avverte il desiderio di
approfondirne lo studio dal punto di vista letterario?

Al contrario. Cerco di arrivare all’appuntamento completamente ignaro dell’opera.
Quando so troppe cose rischio di offuscare la sensibilità immediata e
l’imprevedibilità di un incontro che, per me, è meglio non abbia tare. Dopo sì. Pur
essendo un lettore minimo di poesia (ne leggo pochissime, centellinate nel tempo),
dopo ogni incontro leggo con grande curiosità quello che i poeti hanno scritto.

• Conosco il suo amore per la poesia di Raffaello Baldini. Cosa l’ha attratto nella
scrittura e nella personalità di questo poeta romagnolo?

Anche questo è stato un incontro non ricercato. Dopo avere ascoltato un pezzo di una
sua poesia, letta da lui stesso alla radio nel 1994, gli avevo scritto per sapere se vi
fosse già una registrazione sistematica dei suoi lavori. Non c’era e sono riuscito a
convincerlo a farla insieme. Abbiamo lavorato, saltuariamente, per dieci anni e dopo
altri quindici si è arrivati alla pubblicazione di Compatto, il risultato delle nostre
sedute di registrazione. Con Baldini era stato amore a prima vista, o al primo ascolto,
sarebbe meglio dire. A ciascuno corrisponde un modo poetico e credo di poter dire
che il suo sguardo sul mondo mi corrisponda in pieno.

 

• Poesia e fotografia, ciascuna con i propri mezzi espressivi, possono mostrare il
lampo di una presenza, la concretezza di un particolare, l’ossessione di un
volto, anche quando vengano subito riassorbiti dal buio del giorno e della
memoria. Yves Bonnefoy, nel suo intenso saggio Poesia e fotografia,
accomunava le due arti nella capacità di bloccare ed eternizzare l’immagine,
preservandola per sempre. Lei si trova d’accordo con questa affermazione?

• Nella sua esperienza di fotografo, quali sono i soggetti (oltre alle figure umane)
che trova particolarmente poetici, e in che modo riesce a farli “parlare”
poeticamente? Giocando con luci e ombre, con gli sfondi, con qualche
dettaglio insolito?

Cito sempre questa frase di Jean Baudrillard, perché esprime in completezza quello
che trovo nella poesia: “…è solo attraverso la dispersione del nome di Dio nel
labirinto della poesia che si può percepire in filigrana la figura originale.”
Quando mi trovo di fronte a una scena del mondo, capita che ci siano luoghi e tempi
nei quali intravedo una comprensione maggiore, dove la bellezza mi appare più
evidente. Cerco allora di fotografare per condividere, ricordare, gustare e amplificare
il più possibile quel momento del mondo.
Qualsiasi scena può essere portatrice di questa comprensione, testimone di questa
bellezza. Se però faccio un’analisi statistica tra quello che ho fotografato finora, trovo
una netta predominanza di persone. Vengono poi gli alberi, il cibo, gli oggetti
antropomorfi. Il resto in misura minore.

 

INTERVISTE

CATI

ANDREA CATI, FONDATORE DI “INTERNO POESIA”

 

  • Brevemente, ci puoi indicare il percorso di studi e gli interessi culturali che ti hanno portato a occuparti di poesia?

L’incontro con la poesia è avvenuto durante l’università: nel 2005 mi iscrissi al corso di laurea triennale in Filosofia ad indirizzo estetico, presso l’Università di Bologna. Avevo un’idea, molto confusa, sull’importanza dello studio della filosofia per la vita di tutti i giorni e trovavo le letture dei testi poetici vicini ad un’altra mia passione adolescenziale: la musica.

  • Quando è nato il blog Interno Poesia, con quali collaboratori e soprattutto con quali finalità?

Il blog Interno Poesia è nato ad aprile 2014 a Bologna. A distanza di pochi mesi dalla nascita del blog ho chiesto ad alcuni amici poeti che stimavo di aiutarmi nella scelta dei testi da pubblicare quotidianamente, offrendo la possibilità di avere sul sito uno spazio settimanale dedicato alla pubblicazione di un testo edito o inedito di propria composizione. Sono allora arrivati subito Valerio Grutt, Franca Mancinelli e Giovanna Rosadini. Nel corso del tempo si sono aggiunti altri collaboratori, poeti, critici letterari e traduttori, con gli ultimi arrivati in ordine di tempo, come Andrea Sirotti e Giorgia Sensi, entrambi professionisti dell’editoria di poesia anglofona. Più che finalità Interno Poesia ha avuto sempre una tendenza: selezionare poeti editi e inediti, italiani e stranieri, contemporanei e del passato, seguendo il gusto personale di ogni membro della redazione, in totale indipendenza, con la sola voglia di offrire quello che per noi è degno di essere letto.

  • Che genere di poesia vi proponete di far conoscere e di diffondere con la vostra attività online e a quale pubblico di lettori vi rivolgete?

Interno Poesia (blog e casa editrice) è un progetto di divulgazione e promozione della poesia; è un progetto attento alla cultura pop, ma anche alle sperimentazioni linguistiche più ardite; è un progetto generalista, che ha il desiderio di guardare a tutto il mondo della poesia, che vuole scoprire le molteplici polifonie linguistiche, estetiche e mediatiche che vivono o hanno vissuto intorno alla poesia. Per fare un esempio: abbiamo ospitato e continueremo a farlo, poeti agli antipodi come Adriano Spatola e Rupi Kaur.

  • In che modo, con quali prospettive di successo e riscontrando quante difficoltà la redazione di Interno Poesia ha assunto l’iniziativa di fondare una casa editrice? Quali autori avete proposto finora e qual è il vostro volume che ha riscontrato più consenso, sia di critica sia di vendite?

La casa editrice Interno Poesia è nata a settembre 2016, due anni dopo la nascita del blog. Nel corso dell’attività di blogger avevo riscontrato un continuo e crescente interesse verso la nostra attività giornaliera, tanto da farmi credere che un altro passo era possibile compierlo, realizzando il mio desiderio di aprire una vera e propria attività editoriale. Le prospettive e le difficoltà erano e sono le speranze e le paure, i dati positivi e le fragilità strutturali di un mondo, quale è quello della poesia, piccolo, ma molto attivo e in continuo fermento, in cui la gioia di scoprire un nuovo autore si scontra con la difficoltà di trovare una platea di lettori disponibile a leggere e acquistare i libri pubblicati. Fino ad oggi, però, i risultati sono stati confortanti e di crescita costante, tanto che a partire da novembre 2018 Interno Poesia è entrata nella distribuzione di Messaggerie Libri, il principale player per la distribuzione organizzata di libri in Italia. I tre libri che hanno ottenuto maggiori risconti in termini di consenso e di vendite sono Mia vita cara” di Antonia Pozzi (2019), “Coppie minime” di Giulia Martini (2018), “Salutarsi dagli aerei di Alessandro Burbank (2018).

  • In che maniera pubblicizzate i vostri prodotti: festival, letture, fiere del libro, stampa, internet? Credi ci sia spazio per un’affermazione maggiore del mercato editoriale che si occupa di poesia?

Credo che la pubblicità, anche nella piccola realtà editoriale della poesia, conti tanto. Da quando siamo nati come casa editrice le attività promozionali sono state sempre molteplici: inizialmente facevamo il crowdfunding dei libri in corso di pubblicazione, ormai da più di un anno facciamo solo la prevendita dei volumi che stiamo per pubblicare e ciò rappresenta il primo, essenziale, momento di promozione intorno all’opera che verrà pubblicata. Un altro fattore importante è l’organizzazione di presentazioni del libro e la partecipazione a fiere di settore: quest’anno siamo stati con un nostro stand a Book Pride Milano e al Salone del Libro di Torino, conseguendo, in entrambi i casi, buoni riscontri in termini di pubblico e di vendite. Sono altresì essenziali attività di ufficio stampa con invio del volume alle redazioni delle principali testate nazionali e alle riviste specializzate.

Difficile invece rispondere alla seconda domanda: occorre capire bene di quale poesia si sta parlando quando si fa riferimento ad una maggiore affermazione nel mercato editoriale. In termini generali credo che i lettori di poesia aumenteranno nel corso del tempo, non so però se gli stessi lettori leggeranno la cosiddetta poesia “alta”.

  • Tu stesso sei autore. Quali sono i tuoi scrittori e poeti di riferimento?

I miei poeti di riferimento, dai tempi dell’università, sono più o meno definiti: Eugenio Montale, Pier Paolo Pasolini, Giorgio Caproni, tra i contemporanei Milo De Angelis e Valerio Magrelli; tra gli stranieri Osip Mandel’štam, Adam Zagajewski, Iosif Brodskij. Il mio scrittore preferito e più letto è Philip Roth. Ma le principali letture sono nella filosofia e nella saggistica: leggevo e leggo ancora Friedrich Nietzsche, seguo con attenzione (come potrei farne a                                                                        meno) Roberto Calasso.

 

https://www.sololibri.net/Intervista-Andrea-Cati-Interno-Poesia.html        6 giugno 2019

© Riproduzione riservata

 

 

 

INTERVISTE

CHIAVARONE

Intervista a Matteo Chiavarone, responsabile della casa editrice Ensemble

 

INTERVISTE

CIAPPI


SILVIO CIAPPI, CONIUGARE PSICHIATRIA E SCRITTURA

Intervista a Silvio Ciappi, scrittore, criminologo e psicoterapeuta

Criminologo, psicoterapeuta e scrittore di romanzi noir (“Il Missionario” e “L’uomo dei lupi”), Silvio Ciappi si è occupato di reati violenti, di psichiatria e psicopatologia forense, di psicologia clinica e giuridica, di sociologia della devianza e di tematiche legate alla prevenzione dei delitti e alla sicurezza. Ha svolto missioni internazionali in America latina, Africa ed Asia in tema di prevenzione della criminalità, politiche sociali e valutazione dei sistemi giudiziari per conto della Commissione Europea e di altre istituzioni e centri di ricerca italiani e stranieri, occupandosi di narcotraffico, terrorismo internazionale, politica criminale.

  • Assegna più valore alla scrittura intesa come scavo interiore, denuncia o testimonianza?

Per me è essenzialmente, lavoro archeologico, scavo, paziente opera di rinvenimento e ricostruzione. Anche se scrivere può servire a denunciare, mettere per l’appunto nero su bianco. Le parole sono degli scrigni attraverso i quali diamo ordine al nostro mondo. Ecco perché mi piacciono le parole antiche, il gioco degli etimi possibili, i significati che si annidano dentro la semplicità del dire. La parola poetica, la parola proferita in analisi racchiude in sé una dimensione semantica enorme, racchiude significati che vanno oltre il soggetto che li enuncia e quello che li ascolta. Sono parole dotate di vita propria che però spesso vengono offuscate dalla vita. Anche il mio lavoro di psicoterapeuta è collegato alla parola: è un lavoro fatto di parole, di significati, spesso non accessibili, che si annidano dentro le parole dette e soprattutto quelle non dette, perché dolorose, antiche. Sono convinto che noi siamo un colloquio e che costruiamo la nostra trama incessantemente e che la nostra abilità stia nel riaccordare un senso nuovo alle parole oscure del nostro testo, ai capitoli bui della nostra esistenza. Se riusciamo a risemantizzare l’ignoto, a dare un senso alle cose, siamo già fuori dalla tempesta.

  • Quali narratori, poeti e filosofi l’hanno maggiormente illuminata nel suo percorso intellettuale ed etico?

È difficile scegliere. Ho sempre letto un po’ di tutto sin dai tempi del liceo, ma è più o meno dagli ultimi dieci anni che faccio della scrittura un campo d’elezione per mettere nero su bianco, nella forma più semplice possibile, alcuni concetti. In fondo scrivere dei saggi non è difficile, è molto più arduo mettere dei concetti, talvolta difficilissimi, in parole semplici che arrivino alla testa ma soprattutto al cuore di tutti. Riguardo le persone che maggiormente mi hanno illuminato faccio alcuni nomi scegliendo da una rosa abbastanza nutrita di autori sia classici che moderni: Céline, Marquez, Eliot, Montale, Nietzsche. Ai quali aggiungerei tutti i tragici greci: è da lì che riparto e approdo.

  • Rilke scriveva che “l’unico viaggio è quello interiore”. La sua spinta a viaggiare, cercando sempre nuovi orizzonti, da cosa è dettata? Inquietudine, curiosità, senso dell’avventura, esigenze professionali, volontà di mettersi in discussione, desiderio di incontrare l’altro? E qual è il suo rapporto con il paesaggio?

Beh, c’è un po’ di tutto questo, l’importante è partire con un bagaglio leggero senza portarti dietro il tuo mondo. Ho sempre viaggiato molto, dall’America latina, all’Africa e all’Asia, l’ho fatto per diletto, per lavoro, per cercare me stesso, per curiosità, perché l’infinita sensazione di viaggiare è un assaggio di immortalità. Per un attimo in alcuni luoghi ti pare di essere tu solo, al centro del mondo, sradicato dalla tua patria ma radicato in altre dimensioni. Viaggiare non significa solamente spostarsi di latitudine, significa esser disposti ad incontrare l’altro e lo puoi fare anche a un metro da casa tua. Viaggiare è una condizione esistenziale. Faccio mie le parole di Claudio Magris: “Viaggiare è una scuola di umiltà, fa toccare con mano i limiti della propria comprensione, la precarietà degli schemi e degli strumenti con cui una persona o una cultura presumono di capire o giudicano un’altra”. La dimensione del viaggio ritorna anche nella mia professione: comprendere l’altro significa riuscire ad entrare nella testa e nel cuore di una città sconosciuta e riesci a farlo tanto più bene quanto più parti leggero, senza troppe teorie o precostruzioni. Tornando a Rilke, verrebbe da dire non si vede ciò che si vede ma ciò che si è. Ed è così. Almeno per me. Da sempre.

  • La sua vicinanza agli ultimi è motivata da una scelta ideologica o piuttosto da una sensibilità particolare nei riguardi di chi è socialmente svantaggiato? Disagio mentale e disagio ambientale sono determinati più da un’eccessiva adesione alle aspettative altrui o da una mancanza di immersione nel mondo?

Credo che al fondo ci sia la sensibilità nel calarsi nell’Altro. Chi fa il mio mestiere deve essere disposto ad autosacrificarsi e ad accettare il fatto di comprendere piuttosto che di essere compreso. È una sensibilità che deriva spesso da situazioni personali che ci spingono a ricercare una responsabilità eccessiva per il benessere di un’altra persona, trascurando spesso noi stessi. Per quanto riguarda il disagio o la sofferenza credo che questa si determini spesso quando perdiamo la dimensione dell’altro. La sofferenza è un dialogo interrotto con il mondo. È quando il mondo lì davanti non ci invita più a farne parte, quando pensiamo che tra noi e le cose esista un abisso incolmabile. Se recuperiamo un rapporto con gli altri riusciamo ad alleviare il dolore e nel mio lavoro è spesso il rapporto con l’analista a costituire il primo banco di prova. Se restituiamo dignità al mondo e agli altri, se riusciamo a perdonare e a chiedere aiuto, siamo già fuori dal guado.

  • Chiesa e scienza medica sono istituzioni oggi particolarmente contestate. Come si pone, professionalmente e umanamente, rispetto ad esse?

Ho della fede una concezione privata, intimistica, che ha molto a che fare con la dimensione della spiritualità. Nel mio ultimo libro “L’uomo che non voleva morire”, ho cercato di delineare quello che per me è un possibile percorso spirituale scevro da ogni implicazione teologica o religiosa in senso lato. Il mio Gesù è un uomo che lotta fino in fondo per non morire come uomo, è un giovane adulto di Galilea che crede fino all’ultimo che si possano cambiare le carte in tavola, che sia possibile cambiare. Per quanto riguarda la scienza, essa ci dà informazioni sul mondo, ma non ci dirà mai come governarlo.

  • Religione, scienza, arte: quale di queste tre àncore ritiene possa offrire maggiore speranza di salvezza alla società contemporanea?

Bella domanda. In linea generale credo alla fine dei conti sia l’arte a darci ancora una speranza ovverosia a regalarci lo stupore nei confronti del mondo; l’arte è una parola che contiene nel suo etimo, l’idea del movimento, dell’uomo che si crea e si reinventa davanti ai prodigi della natura e del tempo. Compito dell’arte è farci stupire e riuscire a farci vedere il mondo come se non lo avessimo mai visto prima. Arte significa ri-innamorarsi del mondo e in questo senso anche la vita stessa diviene arte, anche innamorarsi è un gesto artistico, così come produrre cose, libri, musiche, tele. L’arte ci permette un legame di senso col mondo, primordiale, un rapporto mistico, emotivo, poi da qui la cultura, la religione, la scienza ovverosia i saperi più codificati. Ma l’arte o, meglio, l’arte dello stupore è ciò che ci può salvare.

 

© Riproduzione riservata SoloLibri.net;     30 marzo 2017

INTERVISTE

CONOCI

GIUSEPPE CONOCI, FONDATORE DELLA CASA EDITRICE ANIMA MUNDI

 

 

INTERVISTE

CRISCUOLO

Intervista a Giordano Criscuolo, fondatore di Eretica Edizioni

Intervista a Giordano Criscuolo, fondatore di Eretica Edizioni

Ha pubblicato i romanzi Le parole che non scrivo (2005), Come su un solco di Morrison Hotel (2009), 1000 anni con Elide (2010), All’aurora sulle stelle e altre storie del sottosuolo (2011), Il meraviglioso vinile di Penny Lane (2015), Fiabe sorprendenti per principesse e disobbedienti (2021), Un fatto strano (2023).

 

  • Spinto da quali stimoli intellettuali ha deciso di dedicarsi all’attività editoriale? Che funzione ha avuto nella scelta della sua professione l’ambiente familiare e culturale in cui si è formato?

A sette anni lessi L’Inferno di Topolino e ne fui rapito, illuminato. Capii subito che le lettere avrebbero forgiato la mia vita. Mi chiudevo nella mia stanza, tiravo le tende e, alla luce soffusa di una candela, sfogliavo la Divina Commedia.
Non la comprendevo ovviamente, ma ne ero affascinato. Quelle illustrazioni di Gustavo Dorè, quelle terzine così misteriose, così armoniose… una magia. Tentavo di scrivere anch’io qualcosa e avevo chiesto a mio padre di prestarmi le penne e il calamaio che, conservate amorevolmente, usava ai suoi tempi a scuola: ero entrato nella parte del poeta, ma non sono mai riuscito a scrivere un verso. Eppure per me non era importante scrivere qualcosa, era importante stare lì in quel momento, alla luce di quella candela, fermo, sognante, in attesa. Casa mia era piena di libri e smarrito tra quelle pagine ingiallite ero il bimbo più felice del mondo. Attenzione: io non ero un genio, sia chiaro, quei libri non li leggevo (leggevo i fumetti, non riuscivo a pronunciare la C di ciliegia, correvo con gli amici, guardavo Mazinga e UFO Robot, mi facevo male), semplicemente i libri li sfogliavo e rimandavo coscienziosamente la lettura a quando sarei diventato grande. Mia madre era insegnante, mio padre pittore.
A casa mia si leggeva di tutto, mio padre aveva una cultura vasta, complessa, sofisticata. Studiava i filosofi, lo zen, la medicina cinese, la fitoterapia. Aveva un alambicco da Mago Merlino e, da appassionato erborista, distillava tutte le piante medicamentose e balsamiche del nostro territorio. Ambienti del genere lasciano un segno indelebile, ricordi possenti.

  • Ci può illustrare brevemente la struttura e la storia delle edizioni Eretica, spiegando le motivazioni di un nome così particolare?

Dopo il liceo, affascinato dalle arti di mio padre, mi iscrissi alla facoltà di Erboristeria. La realtà, però, era diversa dalla mia idea romantica e umanistica di verde, natura e pozioni magiche. L’esame di Chimica generale e inorganica mi mise di fronte a un bivio… senza pensarci due volte scelsi la strada del ritorno e rincasai. Una sera, mentre combattevo con i miei pensieri (che ne sarà di me? cosa farò della mia vita?), mio padre entrò nella stanza e mi disse: “Tu canti, suoni, scrivi, leggi. Vuoi iscriverti a Ingegneria?”. Capii allora che il mio mondo era quello delle Lettere e mi iscrissi a Discipline Letterarie. Quel nuovo percorso, dopo varie tribolazioni, mi ha portato a fondare Eretica. Porto il nome della Casa Editrice nel mio. I miei genitori mi chiamarono così in onore di Giordano Bruno. Il nome me lo suggerì mia moglie e rappresenta me stesso con tutta la forza che le parole riescono ad avere.

  • Quante collane sono presenti nel vostro catalogo? Pubblicate anche ebook, e se sì, ritenete che il formato elettronico possa rappresentare un’alternativa vincente rispetto al libro cartaceo? Avete un blog, e come è organizzato?

Attualmente abbiamo una collana di poesia, una di poesia e pittura/fotografia, una di narrativa contemporanea e infine la collana Piccola Biblioteca Eretica, con la quale pubblichiamo grandi autori noti e meno noti del passato.
L’anno scorso abbiamo provato a pubblicare diversi titoli in formato elettronico, ma le vendite sono state del tutto deludenti. Per questo motivo, senza escluderli del tutto per il futuro, abbiamo deciso di sospendere la pubblicazione di ebook. No, non abbiamo un blog ma una bellissima pagina su Instagram.

  • Quali sono le vostre pubblicazioni che hanno ottenuto più riconoscimenti di critica e di pubblico, e secondo lei per quali motivi?

Chi ha polvere spara e I grandi scrittori non mangiano di Donato Montesano e il romanzo Una ferita in fondo al cuore di Anna Danielon sono titoli che hanno venduto molto. Si tratta ovviamente di racconti e romanzi scritti benissimo, letture che riescono a incantare i lettori.
Il vero motivo del loro successo, tuttavia, sta nella smisurata passione di chi li ha scritti. In questi anni abbiamo pubblicato opere bellissime di autori che alla fine si sono dimostrati disinteressati e che a pubblicazione avvenuta sono letteralmente scomparsi. La promozione degli autori, e non solo di quegli autori che pubblicano con piccole Case Editrici come Eretica, ma anche di quelli che hanno la fortuna di pubblicare con i colossi, è vitale.
È tutto. Bisogna inviare i libri ai giornalisti, ai blogger, ai premi letterari, parlare del proprio libro sui social. Una piccola casa editrice da sola può fare veramente poco. La pubblicazione di un libro non è un punto di arrivo ma di partenza.

  • Attraverso quali canali preferenziali riuscite a pubblicizzare i vostri prodotti, e che traguardi vi proponete di raggiungere, a livello di mercato e di incidenza culturale, dato che la lettura è sempre più minacciata da altri e più aggressivi mezzi di comunicazione? Le fiere e le kermesse editoriali servono, o è più efficace la pubblicità sui social e sulla stampa tradizionale?

Per promuovere i nostri titoli, ci avvaliamo principalmente dei Social Network, sfruttando quei pochi mezzi che abbiamo a disposizione.
Sebbene Fiere e Saloni siano indubbiamente importanti, per noi della piccola/media editoria possono rappresentare a volte una spada a doppio taglio: da un lato offrono visibilità, dall’altro si rivelano spesso poco sostenibili dal punto di vista economico. I costi degli stand sono sempre elevati, senza contare quelli relativi agli alloggi, ai B&B, ai viaggi, eccetera.
Pur potendo sembrare monotono e ripetitivo, ritengo che il vero “salone del libro” risieda sul nostro comodino, accanto al letto.


© Riproduzione riservata SoloLibri.net            29 novembre 2023

INTERVISTE

CRISOSTOMIDIS GATTI

PAOLA CRISOSTOMIDIS GATTI, POETESSA E BLOGGER

Paola Crisostomidis Gatti è nata a Messina e ha vissuto in diverse città italiane. Attualmente si divide tra Roma e Firenze. Dopo la Maturità Classica si è laureata in Giurisprudenza, per lavorare poi presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. È stata premiata in vari concorsi letterari e le sue poesie sono state pubblicate su antologie e riviste. Attualmente cura le rubriche “Si alza il vento” e “Una poesia al giorno” sul blog RMagazine. Nel 2017 ha pubblicato da Giuliano Ladolfi editore Istanti lunghi come coltelli.

 

  • Quando e seguendo quale metodo di studio ti sei avvicinata alla poesia?

Ricordo di aver scritto le prime poesie a dieci anni, frequentavo la quinta elementare a Pisa e avevo già cambiato città sette volte. Mio padre è un generale dell’esercito, ogni anno o al massimo due dovevamo trasferirci e ricominciare. Probabilmente sentivo un malessere da tirare fuori, anche se per molto tempo non ne ho avuto la consapevolezza, pensavo che spostarsi fosse la normalità. Grazie al liceo classico che ho frequentato a Firenze ho potuto approfondire i poeti delle antologie scolastiche e la letteratura greca e latina. Nonostante abbia poi studiato giurisprudenza e lavorato in una struttura del governo, ho cercato di ampliare le mie conoscenze poetiche leggendo soprattutto molta poesia straniera e i poeti “alternativi”, cioè quelli che a partire dagli anni ’70 hanno cominciato a rompere gli schemi classici della poesia.

  • Quali sono i poeti che più hanno influenzato la tua scrittura? E a quale corrente letteraria ti senti più vicina?

Il liceo classico ha sicuramente avuto un’influenza importante sulla mia scrittura, mi ha sempre affascinato l’uso del mito come spiegazione di valori etici e la lettura dei lirici greci per la sintesi perfetta dei versi.
Pavese è stato il regalo più amato durante l’adolescenza, gli anni del liceo sono passati leggendo le sue Poesie del disamore. L’incontro con le poetesse Sylvia Plath, Antonia Pozzi, Marina Cvetaeva e Alejandra Pizarnik è stato determinante. Donne che hanno sofferto, che la poesia ha aiutato finché il dolore non ha reso la loro vita insopportabile.
Non so a quale corrente letteraria mi sento vicina, probabilmente alla corrente più intimista, come espressione di sentimenti e stati d’animo. Credo molto nella poesia come forma di autocura perché riesce a circoscrivere il proprio stato d’animo, ad accettarlo e a trasformarlo in linguaggio poetico in modo che i sentimenti negativi non facciano più sentire il male di vivere:

“La poesia ha questo compito sublime di prendere tutto il dolore che abbiamo nell’anima e di placarlo, la poesia è una catarsi del dolore”. (Antonia Pozzi)

  • Le tue vicende biografiche e l’ambiente culturale in cui sei inserita, che ruolo hanno avuto nella tua produzione letteraria, rispetto ad altri interessi culturali (filosofici, religiosi, politici)?

Sono cresciuta in un ambiente familiare stimolante. Mia madre ha studiato all’Accademia delle Belle Arti di Firenze, è una pittrice e proviene da una famiglia dell’alta borghesia calabrese composta prevalentemente da giuristi e letterati che già nel 1700 possedeva una delle più grandi biblioteche del meridione. Mio padre è nato e cresciuto nell’isola di Rodi, in un contesto multietnico e multireligioso, da un padre piemontese e una madre greca. Per questi motivi ho sempre vissuto la cultura come arricchimento morale e la diversità come complemento di crescita. L’avvicinamento alla letteratura e di conseguenza alla poesia è nato grazie alla passione per la lettura sviluppata durante le vacanze estive trascorse dai nonni materni dov avevo accesso a un’ampia scelta di libri.

  • In che modo il lavoro che svolgi come blogger arricchisce anche il tuo scrivere versi?

Sono pochi anni che mi occupo di poesia per il blog RMagazine.it, ma devo dire che questo impegno mi sta dando molte soddisfazioni soprattutto come riscontro all’esterno e come approfondimento di studio personale. La ricerca dei poeti che devo inserire settimanalmente nella mia rubrica “Una poesia al giorno”, mi permette di spaziare all’interno del mondo poetico senza limiti geografici e temporali. Sicuramente ci sono poeti che sento più vicini come impatto emozionale e come stile, ma riesco comunque a mantenere una mia unicità. La cosa più importante che ho capito abbinando il mio lavoro di blogger allo scrivere versi è che per avvicinarsi veramente alla poesia bisogna studiarla in modo approfondito e impegnato.

  • Ci vuoi parlare brevemente del libro che hai pubblicato nel 2017, e di quello che uscirà prossimamente?

Nel 2017 ho pubblicato Istanti lunghi come coltelli presso Giuliano Ladolfi Editore. L’idea del libro è nata in un periodo di grande sofferenza, avevo perso un amore e mio padre a breve distanza, dovevo elaborare due lutti contemporaneamente. La poesia è stata di grande aiuto, è sempre stata una compagna silenziosa, ma non la vivevo in modo costante a causa del mio lavoro. In quel periodo l’ho abbracciata e poi ho continuato a tenermela stretta. Mi ha aiutato a gestire il dolore, ho sempre avuto problemi nel farlo.
La raccolta è divisa in cinque sezioni che, come una storia, attraversano le varie fasi della mia vita passando dal dolore alla rinascita. Credo che il libro sia un incitamento a reagire di fronte alla disperazione. Il titolo, Istanti lunghi come coltelli, rappresenta l’attesa nelle sue forme più intime: l’attesa di un amore, di una carezza che non arriva, l’attesa che i cambiamenti portino il nuovo e allontanino i ricordi maceranti del vecchio. L’attesa soprattutto di una guarigione dal male di vivere. I coltelli invece feriscono, fanno male, come l’attesa.
Prossimamente uscirà la nuova raccolta L’imperfezione della solitudine presso Edizioni Ensemble. Cinque sezioni rappresentate da altrettante figure femminili che all’interno di un cerchio immaginario affrontano il passaggio dall’Unico all’Universale come naturale processo di evoluzione. “La grande solitudine interiore” di Rilke diventa imperfetta nel momento in cui nasce il bisogno dell’altro per sentirsi meno soli. Un bisogno che stravolge l’esistenza e porta a percorrere strade imprevedibilmente diverse. Partenza e ritorno a percorsi solitari come cura e amalgama all’universalità dell’amore.

  • Che futuro prevedi per la diffusione della poesia nel nostro paese? Festival, fiere, performance, letture pubbliche sono utili a incrementare l’interesse dei lettori?

Negli ultimi anni ho notato un interesse maggiore nei confronti della poesia da parte soprattutto dei giovani. Ci sono molti poeti nati tra gli anni ’80 e ’90 che sono dei veri talenti. Penso che ci sia un ritorno alla poesia, al piacere di leggerla e ascoltarla. Anche nelle librerie mi sembra che gli spazi dedicati si stiano allargando e si trovano finalmente molte raccolte di poeti contemporanei. Stanno aumentando i reading e le persone che vanno ad ascoltare i poeti. Grazie ai social, Facebook e Instagram, la poesia viene condivisa e letta. Sono convinta che per avvicinare la gente alla poesia bisogna portarla in giro, farla uscire nelle piazze, far capire che la poesia è come la musica e le altre forme d’arte.

© Riproduzione riservata    6 ottobre 2020

https://www.sololibri.net/Intervista-Crisostomidis-Gatti-Istanti-lunghi-coltelli. html

INTERVISTE

DE ALBERTI

ANDREA DE ALBERTI, POETA

Andrea De Alberti è nato nel 1974 a Pavia dove vive e opera. Suoi testi sono presenti nell’Ottavo Quaderno Italiano di Poesia Contemporanea, e in Nuovi poeti italiani. Del 2007 è la raccolta “Solo buone notizie” per Interlinea; del 2010 “Basta che io non ci sia” per Manni. Ha appena pubblicato con Einaudi il volume di poesie “Dall’interno della specie”.

  • Da quale realtà familiare e ambientale proviene, e in che modo tale realtà ha influenzato le sue scelte culturali?

In casa avevamo l’Enciclopedia Medica per mia madre. L’Enciclopedia del Tennis per mio padre. I Quindici per mia sorella e per me. Sono cresciuto sui Quindici e su molti vinili che ascoltava mio padre. Mia madre era figlia di osti. Mio padre era figlio di agricoltori. Mio nonno faceva il lattaio. Non so se questo abbia influenzato le mie scelte culturali, sicuramente mi ha fornito una prospettiva.

  • Attraverso quali percorsi di studio e di lettura si è avvicinato alla poesia, e quali sono i poeti classici e contemporanei a cui ritiene di essere più debitore?

A scuola ero bravo. Ho fatto il liceo e poi Lettere Moderne all’Università di Pavia. Il mio primo maestro è stato la mia professoressa del biennio al liceo. Leggevamo Gadda, Proust, Musil, Joyce, Satta, Mann e poeti come Montale e Ungaretti. Sono legato a Rilke e Rimbaud per quanto riguarda la mia giovinezza; Sereni, Luzi, Raboni, Baldini per la maturità. Una miscela di reale e surreale.

  • Il suo ultimo libro di versi, “Dall’interno della specie”, pubblicato nella prestigiosa collana bianca di Einaudi, in cosa si differenzia dai tre precedenti, formalmente e nei contenuti?

Ho abbandonato l’io lirico dei primi libri. Ho cominciato a distruggerlo per poi ricostruirlo in maniera celata e mascherata nelle nuove poesie. Ho accelerato anche il mio ritmo interiore, come se il cuore dovesse pompare più sangue in una corsa contro il tempo.

  • Pensa che sia importante, per la poesia, nutrirsi non solo di letteratura, ma radicarsi anche in altri ambiti culturali? Quali sono quelli che lei frequenta con maggiore interesse (musica, cinema, arte figurativa, scienza)?

Penso sia fondamentale. Ogni ambito può essere fonte d’ispirazione. Ogni tipo di altra scrittura. Nei Quindici c’era di tutto: dalla favola alla scienza. Penso siano state le basi della mia formazione. Una curiosità onnivora, le radici che si sono innestate nelle altre radici, quelle delle mie esperienze di vita.

  • Nello scrivere versi, ritiene incidano di più le esperienze esistenziali, con i loro contraccolpi emotivi, o invece la riflessione teorica, l’ideologia, il lavoro sui testi? E in che maniera la sua professione attuale vivifica o appesantisce la sua scrittura?

Nello scrivere versi si cerca sempre di tanare in una pozzanghera di fango e acqua una carpa dorata. Lo fai con le mani. La riflessione teorica e soprattutto il lavoro sui testi viene dopo ed è un duro lavoro. Togli il fango dal pesce e vedi che splende come un’ascia.
Lavorare in un’osteria è un osservatorio ma vedi le stelle quando le luci si spengono.

 

© Riproduzione riservata       www.sololibri.net/intervista-Andrea-De-Alberti.html     20 febbraio 2017

INTERVISTE

DI CESARE

INTERVISTE

ELLIOT

Piccoli editori crescono: intervista allo staff di Elliot Edizioni
INTERVISTA ALLO STAFF DI ELLIOT EDIZIONI

 

Nata come piccola casa editrice di progetto dalla rivista Elliot narrazioni e attiva da quasi un decennio, Elliot Edizioni – attualmente parte del gruppo Lit Edizioni – è oggi una realtà quanto mai effervescente della piccola e media editoria italiana, con un catalogo che si arricchisce ogni anno di circa 45 nuovi titoli e una curiosità rivolta non solo al mondo letterario ma anche al panorama artistico italiano e internazionale. Elliot Edizioni distribuisce equamente il suo impegno tra narrativa, saggistica e poesia, con frequenti incursioni nell’universo delle arti visive: oltre alla letteratura, con romanzi tra l’horror e il comico, infatti, numerose sono le graphic novel che portano il suo marchio, con titoli che vanno dal fumetto d’autore a quello ultrapop. Con un progetto editoriale temerario quanto basta per riscoprire grandi voci dimenticate del passato, Elliot Edizioni ha dimostrato tutta l’acutezza del suo fiuto con titoli come il “Metodo antistronzi”, una pubblicazione che, al di là del successo di vendite, rivela chiaramente l’intento divulgativo e il bisogno, mai scontato, di aderire e riflettere sulla realtà contemporanea e sulle sue inquietudini.
Conosciamo meglio il suo staff con questa intervista.

  • Quando e dove è nata la vostra casa editrice, e con quali motivazioni e finalità?

La Elliot è nata a Roma nel 2007, sulle orme dell’omonima rivista. L’idea era di riunire persone con esperienza editoriale in altre case editrici e provare a creare un nuovo progetto di ricerca di talenti del presente e di grandi voci dimenticate.

  • Quante persone collaborano al vostro progetto?

In Elliot lavorano otto persone con vari ruoli (Giulia Caminito, junior editor; Anna Voltaggio, ufficio stampa; Marzia Grillo e Gaia Rispoli, redazione; Irene Pepiciello, ufficio diritti; Chiara De Silvestri, produzione; Francesca Recchia, segreteria editoriale).
La direzione editoriale è affidata a Loretta Santini.
Poi ci sono due curatori di collana (Antonio Debenedetti e Giorgio Manacorda) e collaboratori vari (amici, simpatizzanti, traduttori…), che ci danno suggerimenti, idee, strade da percorrere.

  • Quante collane avete in catalogo? Pubblicate anche e-book?

Abbiamo sette collane di novità in cui rientrano la narrativa contemporanea (Scatti), i classici ritrovati (Raggi), la narrativa italiana del passato (Novecento), la saggistica (Antidoti), la poesia (Poesia, diretta da Giorgio Manacorda), i testi brevi (Lampi), la saggistica d’autore (Maestri, diretta da Antonio Debenedetti) e una collana di economica (Manubri). Per la quasi tutti i nostri libri abbiamo anche il formato eBook.

  • Qual è stato il vostro libro che ha riscosso più successo, di pubblico e di critica?

Quello che ha conciliato di più venduto e critica è “Ragazze di campagna” di Edna O’Brien, tra gli italiani però si sta facendo strada “La teologia del cinghiale” di Gesuino Némus che ha fatto incetta di premi (tra cui il Campiello Opera prima) e sta avendo grande successo tra i lettori.

  • Che tipo di difficoltà incontrate nel diffondere la vostra attività, e cosa vi augurate per il vostro futuro di editori?

La difficoltà maggiore è dovuta alla lenta ma progressiva riduzione dei lettori forti, appartenenti a una fascia sociale (giovani, piccola e media borghesia) in grave crisi dal punto di vista economico. Ci auguriamo che l’Italia possa riacquistare maggiore fiducia e serenità nel futuro, condizione essenziale perché le persone possano tornare a spendere anche in cultura, e non solo in libri.

 

© Riproduzione riservata    www.sololibri.net/intervista-Elliot-Edizioni.html

25 settembre 2016