GIORGIO AGAMBEN, IL MISTERO DEL MALE – LATERZA, BARI 2013

In questo volume pubblicato da Laterza, Giorgio Agamben – forse il più noto filosofo italiano in ambito internazionale- riunisce due suoi brevi e recenti saggi, impegnativi ma affrontabili anche da un pubblico non specialistico, che riflettono su argomenti di profonda rilevanza teologica.
Il mistero del male  indaga il problema filosoficamente più dibattuto già dai primi albori del pensiero religioso (unde malum? cur malum?), coniugandolo con un’empatica meditazione sulle ragioni che hanno indotto Benedetto XVI alle dimissioni. Il primo intervento (Il mistero della Chiesa) si sofferma inizialmente sulla crisi della società contemporanea, dovuta non solo alla diffusa illegalità delle istituzioni, ma soprattutto al fatto che esse hanno perso la loro legittimità, che dovrebbe fondare e autorizzare il loro potere. Non è quindi solamente la corruzione che disaffeziona il cittadino dalle istituzioni democratiche, ma l’interrogativo sulla effettiva necessità e legittimità dell’esercizio del potere. In questo senso Agamben legge il “gran rifiuto” di Ratzinger come un gesto coraggioso e rivoluzionario, perché la sua abdicazione è stata una rinuncia al potere temporale in nome di un richiamo forte e lungamente meditato alla superiorità del potere spirituale, «rispetto a una curia che, del tutto dimentica della propria legittimità, insegue ostinatamente le ragioni dell’economia».
Con questa prospettiva il filosofo ripercorre tutta la parabola teologica di Benedetto XVI, a partire dai suoi studi ecclesiologici degli anni ’50, su Ticonio e Agostino, sulla coesistenza di bene e male all’interno della stessa Chiesa («Gerusalemme è nello stesso tempo Babilonia, la include in sé»), per arrivare alla lettera paolina ai Tessalonicesi, che profetizza la fine dei tempi. Il brano di  2 Tess 2,1-11  è stato commentato, contestato, chiosato dalla Patristica fino alle interpretazioni di Dostevskij, Carl Schmitt, Ivan Illich, Quinzio e Cacciari: chi sia l’Anticristo qui adombrato (se l’Impero Romano o la Chiesa stessa nei suoi membri più ipocriti e corrotti), e in che modo la parusia venga ritardata dalla sua opera malvagia, è ciò su cui da sempre gli studiosi si sono interrogati.
Benedetto XVI ha costantemente riflettuto sia sul corpo bipartito della Chiesa, scissa tra bene e male, sia sulla “discessio” , la separazione finale tra malvagi e fedeli che avverrà alla fine dei tempi. Con la sua rinuncia, ha invitato i credenti a tornare a pensare al tema escatologico così spesso trascurato dalla teologia contemporanea, e al senso delle cose ultime che devono «guidare e orientare l’azione nelle cose penultime» nella storia, nella politica, nell’agire sociale e comunitario, «nell’intervallo fra la prima e la seconda venuta, cioè nel tempo storico che noi stiamo ancora vivendo»: la sua abdicazione afferma che «non è possibile che la Chiesa sopravviva, se rimanda passivamente alla fine dei tempi la soluzione del conflitto che ne dilania il ‘corpo bipartito’», se non riesce a scegliere tra l’economia e l’escatologia, tra l’elemento mondano-temporale e quello spirituale. Lo stesso parallelo vale per la società politica, scissa tra mercato e legge, crimine e onestà, incapace oggi di scelte coraggiosamente e radicalmente etiche.
Sempre prendendo spunto dalla Seconda lettera di Paolo ai Tessalonicesi, Agamben nel secondo saggio del volume indaga il  Mysterium iniquitatis, ambiguamente riletto dalla filosofia contemporanea in una sorta di ontologia del male. Il filosofo romano dà invece del testo paolino un’ interpretazione più radicata nella concezione cristiana della storia, che conferisce al tempo, lineare e irreversibile, un significato soteriologico. Quindi, rivalutando la traduzione del termine greco «mysterion» non più come «segreto» ma piuttosto come azione drammatica realizzata nel “qui e ora” per la salvezza di chi vi partecipa, nella concretezza del dramma storico della passione di Cristo, e nella prassi in cui si rivela «la presenza divina nel mondo delle creature», Agamben colloca il mistero paolino nello spazio teatrale della storia, dove si gioca la salvezza e la dannazione degli uomini, al di là e oltre ogni potere costituito, violento e delegittimato. Compito di una Chiesa che assicuri salvezza è quindi di reinserire il mistero del male nel suo contesto escatologico, senza trasformarlo in una struttura intemporale, ma concretizzandolo in ogni azione storica in cui «il conflitto decisivo è sempre in corso», e in cui «ciascuno è chiamato a fare senza riserve e senza ambiguità la sua parte». E’ forse quindi il caso di ricordare un versetto di Matteo, troppo poco citato, (Mt.12, 6): «Qui c’è qualcosa di più importante del tempio». Qui, adesso, in questo luogo in cui viviamo.
E viene spontaneo allora interrogarsi sui motivi che hanno spinto Agamben, e pochi mesi fa Cacciari, a dedicare le loro ultime pubblicazioni a un tema teologico così spinoso e dibattuto, ma insieme tanto avulso dalle questioni che più tormentano la contemporaneità, e così lontano dall’ inconcludenza che ci sta affondando in un pantano morale e politico: se i filosofi laici si occupano oggi con tanta acribia delle Scritture, forse dobbiamo sperare più coraggiose indicazioni di comportamento etico e di resistenza civile dai gesuiti?

«incroci on line»,  26 agosto 2013