ROMANO MÁDERA, FILOSOFO E PSICANALISTA

Romano Màdera è stato professore ordinario di Filosofia morale e di Pratiche filosofiche presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca. Fa parte delle associazioni di Psicologia Analitica italiana e internazionale, del Lai (Laboratorio analitico delle immagini, associazione per lo studio del Gioco della sabbia nella pratica analitica) e della redazione della Rivista di psicologia analitica. Ha chiamato la sua proposta nel campo della ricerca e della cura del senso analisi biografica a orientamento filosofico e ha fondato la Società degli Analisti Filosofi (Sabof).
Tra le sue pubblicazioni: “L’animale visionario” (Il Saggiatore, 1999); “Il nudo piacere di vivere” (Mondadori, 2006); “La carta del senso. Psicologia del profondo e vita filosofica” (Raffaello Cortina, 2012); “Carl Gustav Jung”, (Feltrinelli, 2016); “Sconfitta e utopia. Identità e feticismo attraverso Marx e Nietzsche” (Mimesis, 2018).

  • I suoi interessi culturali erano rivolti alla filosofia già ai tempi del liceo, nutriti da quali letture, e indirizzati verso quali obiettivi?

Al liceo ho incontrato Cesare Revelli, il mio professore di filosofia e storia. È lui all’origine della mia vocazione alla filosofia, ad una filosofia capace di farci capire il mondo cercando di cambiarne le strutture materiali e culturali che contrastano le possibilità di espressione e di sviluppo delle qualità umane di solidarietà e di ricerca di senso.

  • Quali sono stati gli incontri a livello personale e intellettuale che più hanno segnato il suo carattere e le sue scelte esistenziali e professionali?

Cesare Revelli, come ho già detto, Giovanni Arrighi, amico e studioso di macrosociologia storica, Paolo Aite, il mio primo analista, Carlo Enzo, un grande e misconosciuto esegeta delle Scritture ebraiche e cristiane. Sul piano delle letture, anche se con Pierre Hadot ci siamo scambiati qualche lettera, direi Karl Marx, Nietzsche, Jung, Hadot appunto, Lucrezio, Epicuro, Leopardi, Dostoevskij, Tolstoj… Ovviamente per me la “Bibbia”, Merton, Thich Nhat Hahn…. Potrei continuare per molto, il mio motto è: “imparare da tutto, imparare da tutti”.

  • Quando e in che modo le strade della filosofia e della psicanalisi si sono incrociate nella sua formazione?

Da molto giovane. Ero l’ultimo figlio di quattro. Ho imparato molto dai miei fratelli e da mia sorella. Già a sedici-diciassette anni avevo scelto filosofia perché volevo fare psicoanalisi, poi la militanza politica ha interrotto per un po’ la sequenza, infine la crisi esistenziale e politica intorno al 1973-75 mi ha dato la spinta decisiva a incominciare l’analisi e, cinque anni dopo, il training analitico.

  • La sua è una ricerca non solo filosofica, ma anche spirituale. In che maniera l’ha nutrita e continua ad approfondirla?

La mia è una filosofia come modo di vivere, implica esercizi spirituali quotidiani, quelli antichi e quelli nuovi. La mia sensibilità è sempre stata fortemente religioso-spirituale, a un certo punto sono entrato nella Chiesa Valdese, però frequento i monaci camaldolesi e altri amici cattolici. Ho visitato monasteri buddisti come quello in Francia di Thich Nath Hahn e ho imparato e seguo tuttora alcune delle meditazioni che ho imparato, per due anni ho seguito le pratiche dello Dzogchen insegnate da N. C. Norbu. Ma in definitiva ho piano piano dato forma a una disciplina tagliata su misura – come teorizzo per altri che vogliano inserirsi in questo modo di realizzare una spiritualità laica, cioè aperta a variazioni sulla base di scelte di fondo individuali – e fatta da diversi esercizi filosofici, da pratiche meditative, dalla preghiera e dalla lettura, da momenti di riflessione e di pratica autoanalitica.

  • Tra il suo lavoro di psicanalista e quello di studioso e docente universitario quali sono i maggiori punti di incontro e di attrito?

Considero l’insegnamento solo una parte di un esercizio, la lezione e parzialmente qualcosa del dialogo, ai quali manca il contesto della filosofia come pratica di vita. Comunque studiare accademicamente può essere un buon esercizio se lo si fa cercando di servire la ricerca della verità e non la propria ambizione di riuscire e di apparire. Può essere anche una scuola di umiltà e di pazienza. Poi ho sempre provato a far entrare in università un diverso modo di concepire e di praticare lo studio e il confronto, per esempio con la formazione dei seminari aperti di pratiche filosofiche che non hanno alcuna funzione curriculare. Ho sempre avuto difficoltà nel momento degli esami, ho cercato di sperimentare forme diverse, ma ci sono riuscito solo all’Università della Calabria dal 1978 al 1982, quando era un vero campus. Anche nel lavoro di tesi avevo sperimentato nuove forme, poi le ho raffinate e trasportate nella prova finale della scuola in analisi biografica a orientamento filosofico che dal 2006 vive a Philo a Milano. E adesso qualcosa del genere proviamo anche nella scuola Mitobiografica, un tentativo di cercare il senso della vita e del sapere in un gruppo di sodali, senza altro scopo che l’espressione e la comunicazione di questa esperienza di ricerca.

  • Di quale tra i suoi libri si sente più soddisfatto e orgoglioso, e a cosa sta dedicando attualmente la sua ricerca?

Il mio preferito è “Dio il Mondo” uscito per Coliseum nel 1989 allora diretta da Nanni Cagnone, del quale sono poi diventato amico, uno dei più intensi poeti italiani contemporanei. L’ho scritto dal 1980 al 1985, l’ho dovuto accorciare di molto per renderlo pubblicabile, ma è un primo tentativo di mia Mitobiografia. Poi “La carta del senso. Psicologia del profondo e vita filosofica” che è ad oggi la sintesi più riuscita del mio tentativo di pensiero e di pratica.
Da trenta anni cerco di trovare il varco e il tempo per scrivere un testo che parli della mia analisi, delle immagini delle sabbie di allora soprattutto, dentro il contesto storico biografico e con una rilettura del mito cristiano… e poi anche qualche nota teorica su psicoanalisi e analisi biografica a orientamento filosofico dopo “La carta del senso. Psicologia del profondo e vita filosofica”. Come si vede è troppo e per questo chissà se riuscirò mai a scriverlo.

 

 

© Riproduzione riservata        https://www.sololibri.net/Intervista-a-Romano-Madera.html            23 marzo 2018