MATTEO MARCHESINI, ATTI MANCATI – VOLAND, ROMA 2013
SOLI E CIVILI – ED. DELL’ASINO, ROMA 2012

Prende le mosse un po’ faticosamente, questo romanzo del giovane e agguerrito critico Matteo Marchesini, ambientato in una Bologna piuttosto provinciale e riconoscibilissima nelle sue strade e nei suoi personaggi, dai più famosi ai più caratteristici nella loro stramba originalità («un teatrino di figure petroniane»). Protagonista e evidente alter ego dell’autore è l’ intellettuale trentenne Marco Molinari, «eccessivo, intricato e sarcastico», «micidiale… e aleatorio», dal «poligrafismo un po’ presenzialista», che accumula sulla sua scrivania libri e articoli, assorbito ossessivamente in un lavoro «che non ha orari e quasi non ha gesti, asettico, ripulito da ogni sgradevole contatto umano». Intorno a lui ruotano poche altre figure: il suo mentore-guru Bernardo Pagi, «l’Adorno delle Due Torri», ritiratosi in un eremo campestre nel tentativo di allontanarsi dai riti vacui e mondani della società letteraria. Il fantasma dell’amico più caro, Ernesto, morto in un ambiguo incidente d’auto, e rivale in amore e nella scrittura, bello-benestante-limpido ma prevedibile nelle aspirazioni e nei comportamenti. E soprattutto Lucia, la sua ex fidanzata, inquieta esploratrice di interessi culturali alla moda: dalla politica solidale delle Ong alla cucina alternativa. Lucia, tornata a Bologna dopo anni di assenza, riprende i contatti con Marco a prima vista per rimproverargli i suoi «atti mancati», le sue disattenzioni e indifferenze nei confronti degli altri e del mondo, la sua «tetragona, cocciuta scelta d’inesperienza». In realtà per metterlo di fronte alla tragedia della sua malattia terminale, dapprima nascosta pudicamente, e poi rivelata nel tragico squallore della chemio, delle operazioni, dell’ indebolimento fisico. Nel rinnovato incontro-scontro tra i due, Marco non riesce comunque a sottrarsi al suo velleitarismo letterario, reso esplicito nei dialoghi spesso artificiosi e costruiti, indicativi di «un’aspirazione pubblica che interferisce con l’ispirazione vera».
Più incisivo e convincente della prova narrativa, è invece l’appassionato saggio letterario di Matteo Marchesini, pubblicato nel 2012 dalle Edizioni dell’Asino.
Nella prefazione Goffredo Fofi indica l’ultimo trentennio di storia patria come contrassegnato «dall’accettazione di una progressiva stupidità collettiva», privo di figure intellettuali e artistiche di rilievo etico o politico, e invece scisse tra potere mediatico-giornalistico e potere cattedratico: comunque imbelli, e prone. A questa estesa categoria «chiassosamente servile» di narcisi da salotto è giusto e necessario opporre personalità «portatrici di una istruttiva diversità», di una strenua e coraggiosa capacità di resistenza all’omologazione, alle blandizie delle vendite editoriali di successo, all’assalto a redazioni e studi televisivi. Così si impegna generosamente e orgogliosamente a fare Marchesini, proponendo alla riflessione dei lettori la rivisitazione dei percorsi di vita e scrittura di cinque intellettuali che hanno inciso, con la loro scabra e indocile moralità e con la loro acuta capacità critica, la storia letteraria italiana del novecento: Savinio, Noventa, Fortini, Bianciardi e Bellocchio. Sono ritratti ammirati e partecipi di cinque saggisti (e narratori e poeti) «soli e civili», diversi e lontani tra di loro anche nelle esperienze esistenziali e culturali, ma accomunati da una «capacità demitizzante e demistificatoria», in grado di ragionare «sulla storia del loro tempo senza idolatrarla», legati a un’idea di classicismo «dotto e popolare» a un tempo, ma nemico di qualsiasi cerebrale estetismo, e animati tutti dal sentimento imprescindibile della loro finitezza. Un richiamo sintetico e insieme approfondito, questo di Marchesini, alla riscoperta di cinque maestri del pensiero e della scrittura novecentesca che hanno saputo lasciare un’impronta fondamentale (ma troppo spesso sottovalutata) nella nostra cultura.

 

«incroci on line», 25 aprile 2014