FILIPPO TOMMASO MARINETTI, UCCIDIAMO IL CHIARO DI LUNA! – STREETLIB, 2019 (ebook)

Il chiaro di luna riveste, nell’immaginario collettivo, lo sfondo ideale di ogni espressione sentimentale, dalle dichiarazioni d’amore alla nostalgia intenerita per ciò che è perduto, fino alla vaghezza idilliaca offerta da un paesaggio naturale. Magari accompagnato dalle note della celebre sonata beethoveniana, risulta anche essere il simbolo più trito e retorico di un certo romanticismo languido e sognante, a lungo sfruttato in poesia, nell’arte, nel cinema. Naturale, quindi, che il rivoluzionario fondatore del futurismo Filippo Tommaso Marinetti (1876-1944), esaltatore del progresso, della velocità, della guerra e della fisicità, abbia voluto chiamare Uccidiamo il chiaro di luna! un suo provocatorio pamphlet del 1912, il cui titolo è diventato la parola d’ordine del movimento futurista e della sua ansia innovatrice contro ogni tradizione, politica e letteraria. Già le frasi iniziali del breve saggio indicano l’esaltazione con cui Marinetti intendeva spronare i suoi compagni alla ribellione contro gli amorfi interpreti del pacifismo, del neutralismo e della classicità artistica, definiti Paralisi, Podagra, gregge puzzolente, insetti, cimici, lebbra schifosa, pesce ammucchiato, lugubri formiche della saggezza, code di pavoni, pomposi galli di banderuole, leziosi fazzoletti profumati:

“Olà! grandi poeti incendiari, fratelli miei futuristi! … Usciamo da Paralisi, devastiamo Podagra e stendiamo il gran Binario militare sui fianchi del Goriankar, vetta del mondo! … Turbini di polvere aggressiva; accecante fusione di zolfo, di potassa e di silicati per le vetrate dell’Ideale! …Fusione d’un nuovo globo solare che presto vedremo risplendere! —Vigliacchi! — gridai, voltandomi verso gli abitanti di Paralisi, ammucchiati sotto di noi, massa enorme di obici irritati, già pronti per i nostri futuri cannoni. «Vigliacchi! Vigliacchi! …Perché queste vostre strida di gatti scorticati vivi? … Per ora, ci accontentiamo di far saltare in aria tutte le tradizioni, come ponti fradici! …La guerra? … Ebbene, sì: essa è la nostra unica speranza, la nostra ragione di vivere, la nostra sola volontà! …Sì, la guerra! Contro di voi, che morite troppo lentamente, e contro tutti i morti che ingombrano le nostre strade!”

Il grido di battaglia chiama a raccolta “pazzi e pazze, scamiciati, seminudi”, decisi a “ringiovanire il volto rugoso della Terra”, ruggenti e famelici come leoni che “erette le code, sparse al vento le criniere, foravano il cielo nero e profondo”. E se nel cielo splende “la Luna carnale, la Luna dalle belle cosce calde”, ecco che dalle turbe animose dei combattenti “si udì gridare nella solitudine aerea degli altipiani: — Uccidiamo il chiaro di luna!”, simbolo di languore imbelle e sdolcinato. “Fu così che trecento lune elettriche cancellarono coi loro raggi di gesso abbagliante l’antica regina verde degli amori”. Luce elettrica contro i bagliori del satellite pallido, mitragliatrici contro le arrugginite baionette, aeroplani contro la vecchia cavalleria. “Facciamoci dunque degli aeroplani! — Saranno azzurri! — gridarono i pazzi — azzurri, per sottrarci meglio agli sguardi del nemico, e per confonderci con l’azzurro dèi cielo …È nostra, la vittoria …ne sono sicuro, poiché i pazzi lanciano già al cielo i loro cuori, come bombe! Attenti! …Fuoco! …Il nostro sangue? …Sì! Tutto il nostro sangue, a fiotti, per ricolorare le aurore ammalate della Terra!”

Ma, cent’anni dopo la furiosa battaglia marinettiana, la graziosa e silenziosa luna leopardiana continua a illuminarci: gentile, paziente. Per nostra fortuna.

 

© Riproduzione riservata      13 dicembre 2019

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