MASSIMO CACCIARI, DOPPIO RITRATTO – ADELPHI, MILANO 2012

Ottantasei pagine molto dense e appassionate, queste che Massimo Cacciari pubblica per Adelphi in omaggio al Santo d’eccellenza, la cui esistenza fu pervicacemente radicata nella esemplarità della vita di Cristo: San Francesco. Il titolo del libro si presta a diverse interpretazioni: doppio è il ritratto che Giotto e Dante fecero del frate di Assisi, doppia la loro interpretazione della figura e del ruolo di Francesco nella storia della Chiesa e della cristianità. Ma doppio anche il leggendario ritratto che Giotto dipinse di se stesso e di Dante su una parete del Palazzo Pubblico, di cui parla Villani; e doppio il ritratto che Dante fa nel Paradiso di Francesco e Domenico attraverso le parole di Tommaso e Bonaventura. La persona e la missione di Francesco («nel suo tentativo inaudito di armonizzare il cuore di una mistica cristocentrica, fondata sull’imitazione del Modello… con la Chiesa storica, per necessità approssimabile soltanto a quella spirituale») ispirò ovviamente tutti i linguaggi artistici della sua epoca, pervasa da «tensioni e dissonanze», irradiandola e irradiandosi da essa sia nel fulgore accecante della sua spiritualità, sia nel rivoluzionario rovesciamento dei valori incarnato dalla sua concreta vicenda storica. Destino umano, culturale e teologico di Francesco, tenacemente votato alla perfetta imitatio di Cristo, fu quello di imitare Cristo anche nell’essere tradito: dal suo Ordine, dalla Chiesa, da chi lo interpretò, narrandolo nell’arte.
Cacciari si interroga sulla possibilità di confrontare il ritratto dantesco di Francesco con quello lasciatoci da Giotto nella Basilica Superiore di Assisi, partendo proprio dalle differenze ideologiche ed esistenziali dei due artisti: differenze che si riflettono acutamente proprio nel modo in cui consegnano il Santo alla tradizione e alla storia. La lettura che Dante fa della vita di Francesco privilegia senz’altro la sua concreta appartenenza alla realtà del suo tempo, alla missione di riforma della Chiesa, alla sua de-cisione dal mondo «per correre alle nozze mistiche con Povertà», alla sua sete di testimonianza e di martirio manifestate in particolare nella predicazione. Una lettura storica, incardinata nel suo tempo, quella che Dante ci tramanda di Francesco: «Il grande intellettuale vede in Francesco l’incarnazione di elementi essenziali del proprio progetto culturale, politico e religioso».
Molto diversa, più leggendaria e popolare, «commista a un preciso disegno edificante, governato dalla Chiesa» l’interpretazione giottesca della vita del Santo. Il Francesco di Giotto predica ai fiori e agli uccelli, esprime una nuova idea di natura, è giullare e poeta, innamorato lodatore di Dio e del Creato: «Il ciclo francescano di Assisi vuole essere immagine di questo accordo tra l’escatologia spirituale… e la dovuta reverenza all’autorità papale e alla gerarchia ecclesiastica». Giotto interpreta la volontà dei Frati Minori di radicare Francesco nella sua comunità e in un Chiesa restaurata e riappacificata, eliminando dall’iconografia del Santo tutti i tratti più straordinari e stridenti: censurando addirittura alcuni episodi della sua vita (l’incontro con il lebbroso, il dolore e lo strazio delle malattie e della morte, i chiodi delle stigmate, la scelta privilegiata e drastica della Povertà). Il Francesco di Giotto è umile, ilare, ubbidiente, «aureolato». Non «pauper». Sia Dante sia Giotto convergono nella volontà di rimuovere il tratto più scandaloso della santità di Francesco: la rinuncia, il «va’ e vendi tutto» evangelico.
E l’ultimo capitolo del libro di Cacciari assume un tono quasi profetico e ispirato nel rivendicare la portata rivoluzionaria della scelta francescana di «elezione del ptochós», del povero. «Povero non è il bisognoso, colui che manca-di, ma all’opposto, il teleios, il perfetto, colui che perfettamente imita il Figlio. Per Francesco, cioè,… il cristiano è povero o non è. Mendicante è il cristiano, così come è peregrinus et advena». La cultura del 900 ( e Cacciari cita, contestandoli, Rilke, Lukács, Heidegger, Nietzsche) non ha compreso pienamente la grandezza del messaggio francescano, che collega povertà a kenosis, allo svuotamento. Non solo dei beni, delle proprietà, ma del nostro possesso più geloso: la nostra psiché. Svuotarsi del Sé, liberarsi di ciò che ci è proprio per accogliere l’altro, «in tutti i volti con cui ci viene contra», «spossessarsi di tutto per risorgere con e per ogni ente», «La mistica francescana è amore ri-creante», «Paupertas è energia agente»: così il messaggio di Francesco ha giocato un ruolo fondamentale anche nel rinnovamento dei linguaggi artistici. Spogliandosi di ogni possesso, amando, benedicendo, non giudicando. Povertà, misericordia, letizia, perdono. Cacciari sottolinea l’aspetto femminile, materno della santità francescana, che Dante e Giotto sono riusciti a rappresentare solo parzialmente. Perché Francesco li oltrepassa e sovrasta, così come la sua “figura futuri” supera ogni progetto religioso, teologico, politico: «esattamente come quella del suo Modello resiste oltre ogni cristianesimo».

 

«Mosaico di pace»,  giugno 2012