PAOLO NORI, VI AVVERTO CHE VIVO PER L’ULTIMA VOLTA – MONDADORI, MILANO 2023

 Paolo Nori (Parma 1963), romanziere, traduttore, saggista, docente universitario, si occupa soprattutto di letteratura russa, e il suo ultimo lavoro è dedicato alla poetessa (anzi, poeta, come giustamente pretendeva di essere definita) Anna Achmatova. Il libro, Vi avverto che vivo per l’ultima volta, ha come sottotitolo Noi e Anna Achmatova, esplicita indicazione di come vada letto, sottintendendo un’ammirata complicità con la vita e l’arte della protagonista. Ma non solo. Perché la tragica vicenda esistenziale di lei, perseguitata insieme alla famiglia dal potere bolscevico e impedita nella libera manifestazione del pensiero e degli scritti, riverbera riflessi anche sui tragici avvenimenti contemporanei di oppressione antidemocratica, intolleranza, aggressività ed egoismo.

Chi era, dunque, Anna Achmatova? Nata nei pressi di Odessa nel 1889 (quindi ucraina?), morì a Mosca nel 1966, essendo vissuta perlopiù a Leningrado, oggi Pietroburgo, o nel vicino centro di Carskoe Selo (perciò russa?), tornata a Kiev dopo il divorzio dei genitori (di nuovo ucraina, come Gogol’, Bulgakov e Isaak Babel’?), si sposò una prima volta con il poeta russo Nikola Gumilëv, passando però lunghe vacanze in Crimea. Paolo Nori sottolinea questa sua duplice ma univoca nazionalità, oggi messa dolorosamente in discussione: Anna Achmatova era poeta di lingua russa, e la sua scrittura ha superato confini, burocrazie, eserciti, alzandosi a livelli di tale eccezionale sensibilità e maestria formale da non poter venire ingabbiata in nessuna coercitiva definizione di genere o provenienza.

Il suo vero cognome era Gorenko, ma il padre – ingegnere navale ucraino e funzionario pubblico di origine nobile –, l’aveva diffidata dall’usarlo per le sue poesie, attività secondo lui decisamente “discutibile”. Scelse pertanto di firmarsi con il cognome della nonna materna, discendente da una principessa tartara erede di Čingis kan. Selvaggia da bambina, “strega” da sposa secondo la definizione del marito, Anna Achmatova era una donna bellissima, intensa, severa. Sembrava imperiosamente alta pur essendo di statura media, elegante anche se vestita in modo dimesso, aveva una voce roca eppure quando parlava calava intorno a lei un intimorito silenzio. In alcune situazioni si dimostrava arrogante, in altre addirittura spietata. Di sé sembra ripetesse: “da sempre vivo così, sconsolata”.

Del suo fascino catalizzante furono testimoni amici, intellettuali, poeti come Osip Mandel’štam e il premio Nobel Iosif Brodskij. Tre volte condannata dal Comitato centrale del Partito comunista sovietico, le uccisero due mariti e le arrestarono il figlio: veniva spiata, pedinata, censurata; per diffondere i suoi versi li recitava o dettava alle amiche, che li imparavano a memoria e li divulgavano clandestinamente. Il funzionario di partito Ždanov la fece escludere nel 1946 dall’Unione degli scrittori con l’accusa di falsità, decadenza, elitarismo, disimpegno politico: “Mezza suora, mezza prostituta, o meglio, sia suora che prostituta, mischia il sesso alle preghiere; questa è l’Achmatova, con la sua piccola, misera vita privata, le sue emozioni insignificanti e il suo erotismo mistico-religioso. La poesia dell’Achmatova è lontanissima dal popolo”.

Paolo Nori ripercorre gli snodi fondamentali dell’esistenza di lei inframezzandoli non solo con commenti e riflessioni personali, ma soprattutto con estese digressioni autobiografiche e memorie private: ci racconta della nonna Carmela (“a casa sua c’era una miseria che quando son diventati poveri hanno fatto una festa”), delle lezioni universitarie e dei frequenti viaggi in Russia sulle tracce di scrittori amati, di una lunga degenza ospedaliera nel reparto Grandi ustionati, di altre totalizzanti passioni (il tifo per la squadra del Parma, l’adorazione per il poeta futurista Chlebnikov, l’aria respirata nelle biblioteche, moglie e figlia soprannominate spiritosamente Togliatti e Battaglia, i mistici sufi, la carta oro di Trenitalia…). Si sofferma in particolare sulla propria angosciata reazione allo scoppio della guerra tra Russia e Ucraina, con gli incredibili e farseschi episodi di censura verso la cultura e l’arte russa che ne sono seguiti: l’espulsione di sportivi e artisti da manifestazioni come la Champions League e la finale dell’Eurovision, il divieto di eseguire sinfonie e balletti di Čajkovskij, la rottura di contratti con musicisti di fama internazionale. In quel periodo uno stupido affronto diretto alla sua attività di docente lo aveva ferito e indignato, quando l’Università Bicocca di Milano arrivò ad annullargli seminario su Dostoevskij   programmato da tempo, tra le proteste di molti intellettuali italiani ed europei.

Con lo stile che gli è proprio, colloquiale e travolgente, scandito da frasi brevi, semplicissime, spesso ripetitive, intessuto di intercalari domestici in cui pare addirittura di ascoltare la cadenza dialettale emiliana, Paolo Nori ci coinvolge in un susseguirsi incalzante di episodi della propria vita, ironici e autoironici, per condurci empaticamente a riflettere su questioni di rilievo etico e politico, o ad approfondire alcuni tra i tanti temi e personaggi citati. Quando leggo i suoi libri, mi capita di scoppiare a ridere improvvisamente, poi di commuovermi, poi ancora di irritarmi: credo di dovergliene essere grata, perché mi evita la noia e il disappunto procuratomi da tanta narrativa italiana contemporanea.

Di Anna Achmatova qui scrive di sguincio, in rapporto a tutto ciò che le girava intorno, accennando a riunioni di scrittori, cabaret, riviste letterarie, poetesse rivali, Blok, Mandel’štam, Majakovskij, Cvetaeva, Bulgakov, Modigliani, mariti e amanti. Gli splendidi versi della poeta, pubblicati a partire dal 1912 con la prima raccolta, Sera, vengono citati con parsimonia, e soprattutto non commentati criticamente. Lontano da qualsiasi pretesa di interpretazione accademica, l’autore ne trascrive alcuni giusto per chiosare diverse sensazioni o circostanze biografiche della donna: il rapporto difficile con il figlio, le separazioni sentimentali, la nostalgia per l’illustre passato della Russia, la coraggiosa resistenza all’ottusità del potere. “Io sono un appassionato, non un esperto”, scrive per giustificare il proprio scarso interesse letterario verso ogni valutazione formale.

C’è una poesia dell’Achmatova che mi sembra bellissima, e purtroppo non è compresa in questo volume, Il canto dell’ultimo incontro, in cui lei per indicare il suo turbamento mentre si reca nella casa dell’amato prima di lasciarlo, non accenna a tristezza o paura, ma usa pochi indicatori, a metà tra metafore e correlativi oggettivi: il guanto destro infilato per sbaglio sulla mano sinistra, i gradini che sembrano tanti ma sono solo tre, la luce della candele nella casa buia che ardono di un lume “indifferente e giallo”. Non amava indulgere a introspezioni retoriche, ma era straordinaria nel rendere le emozioni attraverso l’uso di immagini puntuali e insolite.

Troppo poche le poesie presenti in un volume che voleva essere un omaggio alla più grande poeta russa del ’900. Ma almeno di un altro addio in versi Paolo Nori offre opportuna testimonianza, ed è raccontato in Ultimo brindisi. Mi sembra giusto riportarlo, come un regalo fatto a noi lettori, che “ci facciamo invadere dalla bestialità. Che non ci rendiamo conto di quello che stiamo diventando e che, forse, siamo già diventati”:

“Bevo a una casa distrutta, / alla mia vita sciagurata, / a solitudini vissute in due / e bevo anche a te: / all’inganno di labbra che tradirono, / al morto gelo dei tuoi occhi, / a un mondo crudele e rozzo, / a un Dio che non ci ha salvato”.

 

© Riproduzione riservata        «Gli Stati Generali», 3 aprile 2023