MARCO SAYA, INCORPOREI APPUNTI – MARCO SAYA EDIZIONI, MILANO 2022, p.124

L’antologia che Marco Saya (Buenos Aires 1953, editore e musicista jazz) ha da poco pubblicato, raccoglie una scelta di versi scritti in vent’anni di attività poetica, già usciti in diversi volumi. Testimoniano un percorso di consapevolezza letteraria che si dipana dagli esordi più intimistici, attraverso alcune sperimentazioni di stampo avanguardistico, per approdare al più controllato esito formale della produzione recente. Se nelle poesie dei primi anni duemila temi e toni prevalenti si situavano all’interno della discorsiva e pacata linea lombarda, con aperture morbidamente sonore (“Non ci è dato sapere / se i cari estinti anelino / a resuscitare e penso di no”, “Quel palloncino salì improvviso / scappato da una piccola mano”), in seguito la tensione etica sottesa è diventata più severamente esplicita e risentita, evidenziando un deciso rifiuto ideologico verso la cultura postindustriale e gli ambienti sociali e culturali effimeri, conformisti ed esclusivi proposti da un “capitalismo abortito”, da una “democrazia stuprata”.

La frenesia del lavoro compulsivo, la rincorsa al successo economico, il meccanicismo di rapporti umani vissuti all’insegna dell’interesse personale, vengono stigmatizzati con un fastidio che sa farsi rabbioso rifiuto: “Le parole mentono. / Nude si coprono”, “La disperazione scivola / al mio fianco, / mi accompagna nell’open space, / che fastidio tutte quelle voci / all’unisono”, “E tutti dicono. / Poi tacciono. / Si nascondono. // E tutti pretendono”. Milano, la città in cui Saya vive e lavora da più di cinquant’anni, diventa il simbolo di una disumanità crescente, a cui l’individuo spesso non riesce a opporre resistenza: “Simili a pappagalli ripetiamo / che c’è stato un giorno, / un mese, un anno e domani / ritorneremo alla “burlesque” / di questo tempo ignari / di un futuro e imprecisato / giorno, mese, anno”, “Perché non scappavamo da questo scempio? / Perché non distruggevamo il non senso? // Torniamo a essere normali. // Nella pazza incredulità / riprendiamoci gli oggetti smarriti”, “pause di respiro. / flash di intermittenza, / luci impazzite del microonde. / “dove corri?”, “in ufficio” meccanica risposta-suono. / suona il cell. / numero privato chiama”.

Chi scrive si abbandona sia a sconfortate confessioni bisognose di un’assoluzione, o autoassoluzione (“Mi sento / (sempre) / fuori dal coro / di chi ha fatto / della consuetudine / il minore dei mali”, “È strano vedersi che vivi, / ti domandi perché sei lì… in mezzo agli altri (chi?), “Svesto il cuore / del rivestimento”), sia alla ricerca di verità definitive, che aiutino a trovare un ancoraggio esistenziale, in grado di salvare dal “coma della vita”. Quando il “fardello umano” si fa più pesante, allora nasce il desiderio di rimescolare le carte, servendosi di “un mazzo nuovo / con altri giocatori”. Anche la musica offre salvezza, allora, soprattutto se modulata sulla passione di un’intera esistenza. Esperto chitarrista jazz, Marco Saya esprime in versi sincopati la sua riconoscenza alle note: “Jazz jazzbo dancer / nel vicolo bidonville / o nella tumefatta favela / o nella metro leggo metro / o city leggo in piazza affari”.

Frequente nel volume è la sperimentazione di stilemi diversi, utilizzanti calligrammi, reiterazioni, plurilinguismi, citazioni varie, così come termini scientifici tratti dall’astronomia, dalla fisica e dalla paleontologia, a testimonianza degli interessi culturali dell’autore, approdato all’editoria dopo una lunga professionalità vissuta nell’ambito dell’ingegneria informatica.

Gli “incorporei appunti” del titolo segnalano l’intenzione di un avvicinamento discreto alla poesia, dove i versi, scorporati da qualsiasi presuntuosa referenzialità autobiografica, rivendicano la necessità testimoniale di annotare e chiosare tempi e spazi della nostra comune avventura terrena.

 

© Riproduzione riservata    SoloLibri.net › Incorporei-appunti-Saya     21 gennaio 2022