IDA TRAVI, DIOTIMA E LA SUONATRICE DI FLAUTO – LA TARTARUGA, MILANO 2004

Nella partecipe prefazione di Luisa Muraro, filosofa e storica del femminismo, l’atto tragico di Ida Travi intitolato Diotima e la suonatrice di flauto, pubblicato nel 2004 da La Tartaruga, trova la sua origine e destinazione nel rapporto fruttuoso che la nostra contemporaneità mantiene con il pensiero e la letteratura greca. Ida Travi (Cologne, BS, 1948) è poeta che della scrittura in versi ha da sempre sottolineato la forte valenza orale e scenica. Come affermava in un suo importante testo teorico del 2000, anticamente “la poesia fu un dono orale, un’enciclopedia del mondo, un’epica. Ed è evidente ancora: sotto la crosta della scrittura permane un flusso continuo, sonoro, vitale”. Travi è molto attiva in spettacoli teatrali in cui agisce esprimendo emozioni più coinvolgenti rispetto alla semplice lettura di versi, con l’utilizzo della voce nelle sue varie e dissonanti tonalità, accompagnata dalla musica, dal movimento sulla scena, dalla danza.

Diotima e la suonatrice di flauto è un atto unico ambientato ad Atene nel 416 a.C., e prende spunto dalla rilettura del Simposio di Platone e del breve scritto Diotima di Mantinea di Maria Zambrano. L’autrice narra di come durante il banchetto offerto dal poeta Agatone per celebrare la sua vittoria in un concorso tragico, i celebri convitati (tra cui Socrate, Alcibiade, Fedro, Aristofane) si confrontassero formulando le loro idee sul tema dell’Amore. Socrate non espone direttamente la sua opinione, ma riferisce il pensiero della sua maestra Diotima di Mantinea, che non è presente alla cena. La suonatrice di flauto Anna, incaricata di allietare la riunione con la musica, viene subito allontanata, per non distrarre l’esposizione degli ospiti, tutti uomini.

A questo punto Ida Travi immagina un incontro notturno lungo il sentiero degli ulivi tra la giovane musicista e la saggia Diotima, entrambe tenute lontane dal banchetto filosofico maschile, e accomunate dallo stesso destino di assenza e silenzio, di esclusione dalla storia degli uomini. Il nome scelto per la flautista, Anna, è volutamente estraneo alla tradizione greca, e ha la particolarità di presentarsi palindromo, leggibile da entrambi i sensi, a indicare una simultaneità e intercambiabilità di spazi e tempi, tra passato e presente, dentro e fuori.

L’atto unico (che Travi definisce “tragedia lampo, quasi un trasalimento”), conserva la struttura della tragedia: ingresso e uscita del coro, episodi, stasimi. Si snoda soprattutto come un monologo di Anna, la quale racconta di come sia stata allontanata dal convito per non disturbare le dotte conversazioni degli uomini, ma le abbia comunque ascoltate nascosta nel vestibolo, rimanendo colpita dalle parole di Socrate: “Diotima, la mia maestra, pensa che muovendo dalla povera bellezza dei corpi si possa salire, su, su, fino alla bellezza delle anime e poi da lì, su fino alla bellezza delle leggi, e poi ancora fino alla bellezza delle scienze, per arrivare alla visione di una Bellezza ultima, assoluta”. Rivela a Diotima di essersi proposta volontariamente come flautista, al fine di mettere in atto una personale vendetta. Avrebbe voluto infatti avvelenare Aristide, padre fedifrago di sua figlia, e confessa la delusione e lo sconforto per non esserci riuscita. La sua interlocutrice le risponde illustrandole la differente natura dei caratteri maschili e femminili, dei pregiudizi e delle sottovalutazioni degli uomini sulle donne, dei loro egoismi riguardo al ruolo di cura che spetta alle loro compagne: “Il latte delle donne nutre i piccoli nei corpi e poi, più avanti, la scienza delle donne diventa nutrimento trasparente”. C’è, nel testo di Ida Travi, questa fondamentale rivendicazione di generosa grandezza della femminilità, anche quando la gravità delle cose terrene le costringe troppo spesso a procedere a “passi misurati, lenti”, rinunciando al volo. L’aspirazione della giovane flautista a ritrovare la propria eccellenza viene patita come una colpa, e la tragedia si compie nella decisione di uccidersi non appena viene informata della morte improvvisa della sua bambina.

La conclusione drammatica del testo teatrale viene ribadita dall’appendice che chiude il sottile volume, intitolata La Verità, in cui l’autrice racconta un episodio biografico che sembra ricalcare quello vissuto dalla flautista, e che le ha fornito l’ispirazione per scrivere l’atto tragico di cui ci stiamo occupando: un invito a cena nell’abitazione elegante di una coppia di intellettuali, tra commensali eruditi che si interrogano sul significato della Verità (non dell’Amore, come durante il banchetto di Agatone). La poetessa rivive con un senso di umiliazione lo stesso sentimento di inappartenenza ed esclusione provato da Anna, ed estraniandosi dalle futili e pompose conversazioni degli ospiti, riflette su quanto la cultura e la bellezza dell’antica Grecia possa ancora nutrire la sensibilità del mondo contemporaneo, offrendo spunti di riflessione sulla storia del mondo da cui le donne per millenni sono state estromesse.

Il testo di Ida Travi, messo in scienza in diversi teatri, è stato trascritto come libretto d’opera e musicato nel 2011 dal Maestro Andrea Battistoni.

 

© Riproduzione riservata      SoloLibri.net        18 aprile 2023