EMANUELE TREVI, OPINIONI DI UNA ZANZARA TIGRE DI ROMA – PONTE ALLE GRAZIE, FIRENZE 2014 (ebook)

Un monologo divertente e puntuto, come si conviene al più fastidioso e tenacemente persecutorio degli insetti, quello che Emanuele Trevi (Roma, 1964) fa recitare a una zanzara tigre capitolina, ovviamente in un espressivo e scollacciato vernacolo romanesco.

“Zanzara tigre non è uno scherzo, è una cosa che ti devi meritare”, predicava mamma zanzara “seria seria come un prete” alle sue ottanta zanzarine, istruendole su come si vive “in questo porco monno”. Mamma era “un po’ fascia”, e anche la zanzara figlia protagonista è “fascia”, mica come gli insetti che vanno di moda oggi, “che la Natura, ’sta gran paracula, s’è buttata a sinistra. Ma te rendi conto. ’Sta belva feroce, st’impunita. Ha cominciato a fa’ l’intellettuale la Natura, la zozzona femminista, quella che je piace l’armonia, la saggezza, er cibo sano e volemose tutti bene”. A Roma tutte le zanzare sono fasce, zanzare camerate: “Noi, noi semo le bastarde. Le invincibili… nessuno ci può sconfiggere. Noi semo come la steppa russa, come er Vietnam”. A niente possono disinfestazioni, manifesti del sindaco, armi chimiche. Le zanzare sono un esercito, milioni miliardi di femmine rabbiose, mentre i maschi dopo la copula schiattano: “Il maschio, da noi, è come di’ ’na zanzara venuta male, ’na specie de debosciato senza interessi, senza prospettive”.

La mamma in realtà è una finzione, una fantasia, un desiderio inesaudito, perché le zanzare nascono spontaneamente, e orfane: “Basta un pochetto d’acqua morta e zozza, n’avanzo de pozzanghera. Noi nasciamo già scafate, noi sappiamo già tutto. E manco so’ passati due secondi, che già stiamo a rosica’. Perché noi nasciamo incazzatissime”.

La zanzara monologante non ha quindi mamma, marito, amiche: sola, single, basta a sé stessa. Intontita, ubriaca, mezza avvelenata dal sangue torbido che succhia, impregnato di alcol psicofarmaci stupefacenti: se le sue vittime sono poi turisti russi ronfanti in una suite del Grand Hotel, ecco che riescono ad appestare anche l’insetto più robusto. “Sembra de succhia’ ’na farmacia ambulante, ormai. Ce fate sbarella’, ce piombate nella sonnolenza eterna”. Quindi, dei venti giorni destinati alla sopravvivenza di una zanzara, la protagonista è probabilmente arrivata all’ultimo, si appresta a dire addio alla vita, ha perso ormai le ali e qualche zampetta, combattendo valorosamente le sue battaglie sanguinarie contro un’umanità tronfia e padrona. La favoletta esopica di Emanuele Trevi, risciacquata nello spirito di Belli e Trilussa, ci ricorda che tutto ha un’anima senziente: anche la più rosicante incazzatissima moribonda Zanzara-tigre-de-Roma.

 

© Riproduzione riservata            31 dicembre 2019

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