AAVV, LE TRENTASEI POETESSE IMMORTALI – GATTOMERLINO, ROMA 2024

La scrittrice e traduttrice Piera Mattei ha curato, per la casa editrice Gattomerlino da lei fondata nel 2010, un prezioso libriccino, Le trentasei poetesse immortali, dalla vivace copertina di raffinata ambientazione orientale. Nel suo approfondito saggio di apertura, L’importanza del numero, Mattei ci accompagna in un excursus illustrativo della poesia giapponese, a partire dalla differenza esistente tra le forme letterarie dei Tanka e degli Haiku, per inoltrarsi poi in un originale confronto con la poesia femminile del nostro ’500.

Il tanka si componeva di cinque versi, in cui la prima parte aveva la struttura ereditata dall’Haiku (5-7-5 sillabe) e la seconda era costruita in due versi di 7 sillabe, per un totale di 31 sillabe il cui schema era rigorosamente rispettato dai poeti della corte imperiale, in omaggio a un’ideale di armonia e ricercatezza espressiva.

Nate in contrapposizione al soverchiante modello cinese, queste brevi composizioni venivano raccolte in antologie imperiali riportanti i contributi dei 36 vincitori di una rituale competizione letteraria a tema fisso. Tra queste antologie divenne molto popolare quella delle Trentasei poetesse immortali, le cui autrici erano state scelte, oltre che per la sensibilità ed eleganza nella scrittura, anche per la perizia nelle arti della calligrafia, della musica, della danza e della pittura.

Gattomerlino propone una scelta di tanka tratti da una celebre raccolta del tredicesimo secolo conservata alla NY Library, basandosi sulla traduzione inglese di Andrew J. Pekarik, arricchita dalle illustrazioni del pittore Eishi (1756-1829).

Delle trentasei poetesse che vissero tutte alla corte di Kyoto tra il X e il XIII secolo, sei erano di altissimo rango (principesse o concubine imperiali), le altre erano dame della media nobiltà in servizio a palazzo per funzioni attinenti ad abbigliamento, nutrizione, etichetta, diplomazia, e per tali motivi ammesse alla vita privata del sovrano e delle sue numerose mogli e concubine.

La poligamia e lo stato di dipendenza totale dalle figure maschili in tutta la società medievale, relegava le donne a un ruolo di sudditanza, solitudine ed esclusione dall’ufficialità, che sia nei diari sia nei tanka veniva espressa in toni di rassegnata malinconia, attraverso un repertorio di immagini e situazioni letterariamente collaudate, ereditate dal canone cinese.

Pur nella rigidità e brevità della formula compositiva in cui erano costretti, gli stati d’animo delle trentasei poetesse (indicate singolarmente per nome ed epoca di riferimento), manifestavano un ventaglio di emozioni differenti, dalla nostalgia al rimpianto, dal risentimento al desiderio sensuale, dalla gelosia all’autocompassione: “Quando potremo scioglierci / insieme, nodo così difficile / da allacciare / così facilmente disfatto / che leghi le mie vesti, la notte?” ; “Pensavo che / infine questa vita sarebbe stata quella /  che avevo desiderato. / Perché dovrei, d’impulso / troncarla, per colpa dell’amore?”; “Uomini, senza pensare / fanno promesse / che sono di fatto bugie. / Ciò che fa male è questa mia vita / dove il cambiamento è abitudine”; “Più che mai / e di nuovo sono inzuppate / queste mie maniche delle lacrime / che ho versato / pensando al lontano passato”; “Questa stretta stuoia, / il letto in cui mi abbandonò / pensando “Solo per una notte” / è rimasta intatta, / oggi è coperta di sporcizia e di polvere!”; “Nessuna visita giunge / con lo spirare di questo / vento d’autunno. / Se tu fossi un germoglio di canna / un suono – almeno – emettesti”.

Numerosi sono i tanka da cui si effonde un sentimento di incantata ammirazione per il paesaggio, con la consolante risonanza della malinconia nell’osservazione della natura. Pioggia e rugiada ricordano le lacrime di cui sono intrise le maniche dei chimoni, la luna rischiara delicatamente la minacciosa oscurità notturna: “Il vento della baia / che violento batte la riva / trascina uccelli di sabbia. / Sollevando onde sta arrivando. / Odo i suoi gridi nella notte”; “Con un velo di nebbia / che ancora sale in questa primavera / ecco la luce della luna / rende visibile la bellezza / della profondissima notte”.

Piera Mattei nella prefazione propone un interessante parallelo tra la produzione poetica delle dame giapponesi e la stagione di grande creatività femminile sviluppatasi nel nostro Cinquecento a opera di letterate petrarchiste, ugualmente segnate “dal culto della raffinatezza, dall’ossimoro, di un’originale imitazione in forma chiusa, e inoltre, spesso, dal senso di solitudine (e inversamente dal respiro di libertà) connesso alla condizione di un rapporto amoroso non sempre esclusivo, talvolta precario… Interessa nella loro poesia l’esplicita dichiarazione di desiderio e d’attesa, la disposizione a prendere atto di una disfatta o dello spegnimento di una passione, una libertà mentale e affettiva impensabile per le onorabili donne ita liane d’allora”.

I nomi citati sono quelli famosi di Vittoria Colonna, Veronica Gambara, Gaspara Stampa, Veronica Franco, e di un’ulteriore dozzina di artiste meno note al grande pubblico. Di alcune di loro vengono riportati i versi, in un’interessante comparazione tematica con le trentasei poetesse immortali, creature di un mondo lontano nel tempo e nello spazio, ancora vicino nella sensibilità e nel patimento dell’esclusione sociale.

 

© Riproduzione riservata    SoloLibri.net           21 maggio 2024