MARIANGELA GUALTIERI, L’INCANTO FONICO. L’ARTE DI DIRE LA POESIA –EINAUDI, TORINO 2022

Di cosa è fatta la poesia? Ovviamente, di parole. Ma anche di silenzio. Silenzio che circonda le parole, ne attutisce o amplifica suono e significato. È fatta di caratteri neri stampati sulla pagina. E di bianco, di tanto spazio bianco lasciato intorno, di fianco, sotto ai versi. Che non dicano troppo, che non dicano tutto. Di quali altre cose, sentimenti, sottigliezze, si nutra la poesia ce lo rivela Mariangela Gualtieri nel suo ultimo libro, L’incanto fonico. Da attrice e fondatrice nel 1983 del Teatro Valdoca insieme a Cesare Ronconi, e da poetessa tra le più intense e apprezzate oggi in Italia, nel suo saggio composto di aforismi, meditazioni, suggerimenti, intuizioni e lampi rivelatori, sottolinea l’importanza della resa sonora del componimento poetico. È stata Amelia Rosselli a coniare l’espressione “incanto fonico”, e alla sua arte viene reso omaggio nel volume, insieme a quella di altri eccellenti maestri: Dante, Emily Dickinson, Mandel’štam, Rilke, Celan, Cristina Campo. Poeti che hanno saputo “dinamizzare il verso nella sua vitalità massima”.

Forte della propria quarantennale esperienza sul palcoscenico, l’autrice sa quale sia l’importanza di riconsegnare vocalmente veridicità e tremore alla lettura poetica, quale sia la magia che si instaura quando un pubblico attento e silenzioso viene immerso in un “bagno acustico”: gli astanti, in “stato umanissimo d’ascolto acuto”, diventano testimoni e nello stesso tempo partecipi dell’evento sonoro, vivendolo risonante. Disabituati ad ascoltare poesia, ne sono affamati: “Portano loro denutrizione su poltroncine, la mettono lì spalancata. Portano loro gigante aver fame, aver sete. Nessuno da tempo dava un boccone. Nessuna tetta allattava loro secca terra interiore”.

Attraverso una prosa ellittica, ispirata, sentenziosa e sapienziale, Mariangela Gualtieri ci introduce nel rito del dire e dell’ascoltare poesia, che è tenacemente e sempre costruita su ritmo, timbro, respiro, memoria, pensiero: “Musica è. Tutti i poteri della musica. Tutti li ha”. Costruzione melodica, quindi, e concreta fisicità: “Da pagina a voce… Da mente a corpo”, “La forma sonora del verso passa da intimo della gola, intimo del respiro, strofina corde vocali, aziona diaframma, muscoli tutti della fonazione, sensuale lingua, sensuali labbra e profondità di laringe”. La materialità del dire poesia viene aiutata (a teatro, nelle sale di registrazione, in radio o alla televisione: ovunque siano previsti auditori) dalla “sacra tecnologia” fornita da esperti tecnici, da fonici competenti cui va la riconoscenza dell’autrice, poiché riescono a tramutare la tonalità umana in qualcosa di ultraterreno o di bestialmente ancestrale.

Allora i versi diventano “formule magiche… formule mantriche”, “pezzi di esplosivo capaci di indurre a trasformazione interiore”, riconducendo il vissuto alla sua dimensione più elevata e trascendente. Come suggerisce nella sua ricca produzione poetica, anche in questo saggio Mariangela Gualtieri affida alla poesia un compito di rinascita spirituale: “Sue molte potenze. Esortazione. Illuminazione. Cortocircuiti. Svelamento. Scioglimento di ghiacci interiori. Potenza di affratellamento, comprensione e compassione, risveglio della pietà. Rivolta. Profezia. Eversione. Sanguinamento. Consolazione. Consonanza con l’umano. Con l’armonia ritmica del mondo, del cosmo, del tutto…”

Così, immergendosi in un “mondo aurale orale”, si impara a piangere e a ridere, ad ascoltare e ad ascoltarsi, a “non avere non essere non volere… a esserci pienamente presenti e non esserci… a diventare invisibili”. Questo insegna la voce che dice poesia: “Lasciare zavorra di pensieri. Lasciare desiderio di compimenti, di buon risultato. Rinuncia. Niente esito”. Ciò che si raggiunge è una liberazione, un’apertura: perdono, consolazione, rimedio. “Catarsi si chiama. Come quando la neve appare. Come, svoltato l’angolo, luna improvvisa piena”.

 

© Riproduzione riservata                         «Gli Stati Generali», 23 maggio 2022