LEONARDO SINISGALLI, TUTTE LE POESIE – MONDADORI, MILANO 2020

 

A sedici anni, nell’antologia scolastica di poesia contemporanea di G.Rispoli-A.Quondam, sulle cui pagine ho incontrato per la prima volta il nome di mio marito Siro Angeli, ho letto con emozione anche i versi di Leonardo Sinisgalli. Questi, in particolare: “I fanciulli battono le monete rosse / contro i muri. (Cadono distanti / per terra con dolce rumore). Gridano / a squarciagola in un fuoco di guerra. / Si scambiano motti superbi / e dolcissime ingiurie. La sera / incendia le fronti, infuria i capelli. / Sulle selci calda è come sangue: / il piazzale torna calmo. / Una moneta battuta si posa / vicino all’altra alla misura di un palmo. / Il fanciullo preme sulla terra / la sua mano vittoriosa”.

La forte impressione di quella “mano vitttoriosa”, così stagliata visivamente come in un’inquadratura cinematografica, mi ha colpito ancora, a distanza di cinquant’anni, sfogliando il corposo volume che meritoriamente Mondadori ha dedicato al poeta lucano.

Intellettuale sui generis, Sinisgalli si configurò già nel dopoguerra come originale protagonista della storia letteraria del nostro Novecento. Nato a Montemurro (Potenza) nel 1908 da una famiglia contadina “al limite dell’indigenza”, morto a Roma nel 1981, era laureato in ingegneria; oltre che poeta fu narratore, saggista, critico d’arte, traduttore, art director, autore di documentari e programmi radiofonici, disegnatore, acquerellista. Fondò importanti house organ e fu responsabile della pubblicità per molti gruppi industriali (Olivetti, Alfa Romeo, Pirelli, Finmeccanica, Eni, Alitalia), cui seppe fornire ricchi spunti creativi, nella convinzione che la cultura italiana necessitasse di contaminarsi con diversi ambiti produttivi, più moderni e complessi.  Scriveva infatti: Io aspetto il gran giorno in cui il Regno dell’Utile sarà rinverdito dalla cultura, dalle metafore, dall’intelligenza”.

Anche la poesia, avrebbe quindi dovuto rinunciare alla sua aureola di decantata purezza, se in un articolo del 1945 così aggiungeva “Siamo tutti convinti (ad eccezione di Benedetto Croce) che la poesia non può essere un metallo puro. Non lo sono neppure le monete più pregiate, i carlini, i napoleoni, i talleri. Certo bisogna regolare la dose di queste impurità: storia, scienza, biografia, psicologia, nomenclatura, ecc. Un meticciato è redditizio per fortificare le nascite, così come un’aliquota di carbone è necessaria al ferro per renderlo più robusto”.

Sinisgalli proclamava palesemente il suo interesse per tutte le ramificazioni della scienza; dalla questione ecologica di cui avvertì precocemente la rilevanza (numerose le sue composizioni dedicate agli animali e all’ambiente, minacciato dall’inquinamento: “la natura si vendica / delle abiure cervellotiche”), alle rivoluzionarie intuizioni della fisica quantistica. In una composizione intitolata Varenna si confessava affascinato dall’imprevedibile e misteriosa possibilità di mutazione, di devianza e di flessibilità del reale: “Quella domenica di Pentecoste / Heisenberg in cattedra / spiegava il Principio di indeterminazione / a una platea di eletti. / In un angolo Fermi e Dirac / si guardarono un attimo sbigottiti, / poi si scambiarono brevi formule / scritte sui palmi delle mani”. E in Visioni celebrava il superamento del dato reale, in favore del non prevedibile, dell’indefinito: “Le cose che vedo / non ci sono. / Ci sono state, / ci potranno essere”. Addirittura, in una lettera a Gianfranco Contini del 1941, si spinse a ipotizzare “un tipo di poetica condensata nella formula a + bj, il numero complesso che compendia entità reali (a e b) e un operatore immaginario (j) che altera nel profondo la realtà attraverso il linguaggio”. Geometria, algebra, chimica entravano nei suoi versi non tanto come contenuto ma nel senso di un rigore compositivo in grado di applicare l’astrazione concettuale al dato descrittivo.

Nel suo libro di saggi più noto, Furor mathematicus (1950), ispirato all’interazione tra differenti campi disciplinari, associava all’idea di ordine, razionalità e regolarità (proprie della matematica), l’entusiasmo dell’atto creativo, affrontando in maniera eclettica le materie e i soggetti più vari. Primo critico di se stesso, sia nei libri di poesia sia negli articoli giornalistici e nei frammenti sparsi, Sinisgalli esibiva costantemente dichiarazioni di poetica, sentendo l’esigenza di riflettere sulla propria produzione e più in generale sul ruolo di chi scrive in versi. Non gli era congeniale la vocazione all’impegno, al dogma, all’enfasi, alla ricerca di una verità ideologica. Anteponeva al realismo l’invenzione libera, l’associazione spontanea di memorie, immagini, sentimenti, seguendo il proposito di “cancellare i connotati del vero”. Rifuggiva dagli astrusi sperimentalismi linguistici, dalle forme chiuse ormai ritenute obsolete, da ogni provocazione polemica, dagli eccessi esornativi: sempre fedele a una volontà di chiarezza e semplicità comunicativa, amava combinare nelle sue raccolte versi e prosa, canto e parlato.

I riferimenti biografici rimangono essenziali dalla prima produzione, declinata in tonalità elegiache e musicali, all’ultima, più narrativamente distesa.

I suoi luoghi lo seguirono sempre: l’amata Lucania (“Terra di mamme grasse, di padri scuri / e lustri come scheletri, / piena di galli / e di cani, di boschi e di calcare, terra / magra dove il grano cresce a stento”, “Qui dovevo vivere, / verrò a morire tra i ruscelli / le vigne le pietre”), poi Roma (“Sprango la mia finestra / all’afrore delle carni fresche, / allo sciame delle rondini tiburtine. // Ruderi dell’Appia aguzzi ispidi grevi”), Milano (“In quel fosso è nato / il grattacielo di Milano, / un piccolo segno di vittoria / per noi apostoli di cànoni nuovi / del nuovo vangelo”), la Sardegna dove fu richiamato col grado di ufficiale durante la guerra.

Nello stesso modo, anche le persone campeggiano vivide nei suoi ritratti, volti amati di familiari e amici.

La madre: “Mia madre aveva un modo strano / di carezzarmi la faccia, mi premeva / il palmo contro il muso, quasi mi / schiacciava le labbra, mi tirava indietro / di colpo per baciarmi sulla nuca”, “Caldo com’ero nel tuo alvo / Mi attacco alle tue reni / Madre mia. Io sono / Il tuo frutto e a te ritorno / Ogni notte e nell’ora della morte”, “Nessuno più mi consola, madre mia. / Il tuo grido non arriva fino a me / neppure in sogno”.

Il padre: ”L’uomo che torna solo / A tarda sera dalla vigna / Scuote le rape nella vasca / Sbuca dal viottolo con la paglia / Macchiata di verderame. //… È un uomo, un piccolo uomo / Ch’io guardo di lontano. / È un punto vivo all’orizzonte”, “Padre mio che sei / sulla loggia dopo cena / e sonnecchi. Ti scuoti / al rumore dell’acqua / che dal barile è calata nei secchi”, “Mio padre parlava di quel ciliegio / Piantato il giorno delle nozze, mi diceva, / Quest’anno non ha avuto fioritura, / E sognava di farne il letto nuziale a me primogenito”.

La sorella morta bambina, “Io ricordo, sorella, il tuo pigolìo / quando ti chiudevi a piangere sulla loggia / perché volevi andare sul tetto a stare. / Eri felice soltanto se potevi sollevarti un poco da terra. / Ti misero nella cassa gli oggetti più cari, / perfino una monetina d’oro nella mano / da dare al barcaiolo che ti avrebbe accompagnata / all’altra riva”.

La malattia e la morte della moglie Giorgia de Cousandier: “Lasciami contare i tuoi capelli / da mattina a sera, / e a mezzanotte rifare i calcoli”, “Davanti a te sto seduto per ore. / Non mi dici niente”, “Rimane male / quando entra in camera / all’improvviso e trova / che sto guardando / fisso, fuori”, “Ti devo abbracciare / con cautela / per non spezzarti”, “Ti nascondi / nella bottiglia d’inchiostro, / ho paura di trafiggerti / con la punta del pennino”, “Quello che tu / avevi messo dritto / è tornato alla rovescia”.

L’antologia che Mondadori ha dedicato a Leonardo Sinisgalli è presentata nell’empatica introduzione del suo attento curatore, Franco Vitelli, come “un vero e proprio ‘atlante’ della sua produzione in versi. Comprende infatti tutte le poesie da lui pubblicate in vita sia in raccolte sia in plaquette, a partire dalla ‘preistorica’ Cuore, che si ristampa per la prima volta dal 1927”.

Ricchissime le note finali, la biografia e la bibliografia critica, puntuale ed esaustiva l’introduzione: un volume, dunque, che viene giustamente a ricordare un poeta e intellettuale che ha saputo mantenere, in cinquant’anni di attività, un profilo discreto e insieme rigorosamente definito (“Io cerco da anni questa sintesi. // Cerco di salvare la grazia / negli esercizi di calcolo”), anti-eloquente nella sua naturale chiarità di stile: “Io devo veder crescere la frase / come cresce l’unghia ai vitelli, / come cresce la barba sulla guancia dei ragazzi”.

 

© Riproduzione riservata           «Gli Stati Generali», 8 maggio 2020